esser ha scritto:
piu che altro gia adesso tutti i paesi della UE messi insieme spendono regolarmente oltre il triplo dei soldi che investe la russia per gli armamenti quindi perche #@*§ dovremmo pagare altri 800 miliardi per il riarmo quanto basterebbe in primis sfruttare meglio quello che gia impieghiamo di solito?
e poi soprattutto perche la russia dovrebbe attaccare la UE? a quale scopo? ma poi se è rimasta infognata per 3 anni in ucraina incapace di riuscire ad occuparla completamente allora perche dovremmo credere che abbia un esercito in grado di invadere tutto il resto del continente?
io mi farei tutte queste domande piuttosto che partire sparati a comprare armi a destra ed a manca per giunta senza neppure avere un esercito europeo comune.. e comunque quand'anche si partisse ora ad investire nel riarmo ci vorrebbe almeno un lustro prima di ottenere i primi risultati (lo ha detto la stessa von del laida che il piano quinquennale ha come obiettivo il 2030) il che significherebbe che putin se davvero avesse intenzione di attaccarci lo farebbe adesso, mica attenderebbe che la UE si fosse rinforzata eppure non mi pare proprio di vedere l'armata rossa imperversare da varsavia a lisbona...
sara un caso che i primi a usufruire della corsa agli armamenti sono i tedeschi le cui industrie militari incasserebbero miliardi cosi da rimpinguare le proprie casse e migliorare l'economia della germania che sta attraversando un periodo di grossa crisi? cosi come è ovviamente un caso che la stessa von der laida sia tedesca per cui ha un leggerissimo conflitto di interesse nei confronti del suo paese natale quando insiste nello spingere fortissimamente ad obbligare i vari paesi della UE ad aumentare vertiginosamente le spese per il riarmo ben sapendo che non ci sara mai un esercito europeo?
A parte che l'Italia è uno dei paesi che trarrebbe maggior beneficio dal piano europeo, essendo Leonardo uno degli asset principali nel continente, più di Rehinmetall visto che fattura quasi il doppio.
Sulle motivazioni per cui dovremmo temere ancora la Russia, ti rimando a questo pezzo.
Cita:
“Se in tre anni la Russia non è riuscita a conquistare l’Ucraina, come può Mosca rappresentare una minaccia per l’Europa?”
Una risposta.
Questa è la domanda che ritorna, martellante, fra i critici del programma di riarmo europeo oggi sul tavolo.
Se la Russia non è una minaccia, allora il riarmo è un’iniziativa aggressiva dell’Unione Europea. E qui parte la solita tirata di maniera, da parte dei soliti noti, sull’imperialismo di Londra, Parigi e Berlino: sono loro a volere la guerra, non Putin.
In Italia, paese in cui si può dire ogni cosa e il suo contrario, facendo leva sulla scarsa informazione del pubblico, un propagandista si è spinto sino ad affermare che la Russia sarebbe un paese “naturalmente” pacifico: una periferia imperiale che si stende da Minsk, passando per Grozny, fino ad arrivare alle distese dell’Asia centrale e della Siberia sembrerebbe testimoniare il contrario.
Certo, la Russia in questo momento è debole.
Chi dice che Mosca non ha le forze per invadere l’Europa dice il vero; ma non fatevi fuorviare. Questa è una verità e al contempo un argomento fantoccio: una verità convenientemente deformata per poter essere facilmente confutata.
Mosca, infatti, non ha mai avuto l’intenzione di invadere *tutta* l’Europa: il prossimo colpo del Cremlino si abbatterà solo su di una piccola parte di essa, e presumibilmente su quegli stati baltici che già facevano parte dell’Impero zarista e poi dell’Unione Sovietica.
Ma procediamo con ordine, su questo punto ritorneremo. Frattanto giova osservare che se la Russia è debole, ne deriva che il momento migliore per fermarla sia ora, non fra due o cinque anni: nel Donbass, lungo il fronte del Dnepr e non nel Baltico. Servirebbe subentrare a Washington e continuare a sostenere Kyiv, sino a giungere a una pace basata su solide garanzie per la sua integrità territoriale e la sua sicurezza futura. E l’unica garanzia non può che derivare dal non lasciare impunita la deliberata aggressione russa.
Se ai russi, però, venisse oggi concesso di districarsi dall’Ucraina con guadagni territoriali, e senza alcuna solida garanzia concessa a Kyiv, essi senza dubbio tornerebbero. E torneranno. E la pace non sarà che una tregua di due o cinque anni. Il disegno di Putin, questo statista descritto dai propagandisti filorussi come amante della pace, e sotto la cui pace pur si è consumata la seconda invasione della Cecenia, e quella della Georgia, e l’intervento in Siria al fianco di Assad, e l’avventura africana della Wagner, e l’invasione di Donbass e Crimea, e infine di tutta l’Ucraina, ha sempre portato avanti il disegno assai conseguente di ricondurre la Russia al rango di grande potenza.
Attraverso gli unici strumenti di cui dispone: non certo quelli della crescita economica o del progresso scientifico e tecnologico, bensì attraverso una deliberata politica di espansione territoriale volta a proiettare, direttamente o indirettamente, l’ombra di Mosca sulle posizioni perdute dopo il 1991.
Non solo Putin non intende fermarsi. Il fallimento in Ucraina, in cui un colpo di mano di una settimana è divenuto una guerra di logoramento di tre anni, lo costringe a seguitare ad attaccare; anzi, a rilanciare.
La Russia è un paese che sarebbe già tecnicamente in stagflazione, non fosse avvenuta la conversione dell’economia di mercato in una di guerra: il tracollo del GDP russo, che solo nel 2022 ha perso due punti percentuali, è stato fittiziamente compensato dalle commesse belliche.
La svalutazione del rublo viene tenuta a freno da tassi di interesse al 21%, con un ulteriore aumento proiettato al 23%. Il governo fa il resto comprimendo i consumi privati.
Lo scoppio della pace e il tentato ritorno a una economia di mercato provocherebbero dislocazioni economiche di un’entità cui nemmeno l’apparato repressivo dei servizi russi potrebbe probabilmente far fronte.
Questo Putin lo sa. Le autocrazie, per cui un modicum di consenso è ineludibile per reggersi in sella, sono assai meno attrezzate a metabolizzare il dissenso in tempo di pace che non di guerra; quest’ultima giunge a proposito, col giustificare un’ulteriore compressione di quanto resta degli spazi di libertà economica e personale. A Putin, come già ad altri dittatori prima di lui, non resta che alzare la posta e con essa il livello dello scontro: qualsiasi pace raggiunta in Ucraina che sia favorevole ai russi, invece di mettere in crisi il sistema putiniano, sarà una tregua armata concessa alla Russia per riorganizzarsi e tornare ad avanzare.
Si è già visto in questi giorni il cambio di passo – vero e proprio salto di qualità – della propaganda russa rivolta ai russi; quella rivolta agli “austriacanti” europei è altro paio di maniche, ma agli austriacanti farebbe bene, di tanto in tanto, un bagno nella propaganda russa per i russi.
E questa propaganda, per mezzo dei soliti corifei – siano essi Dugin, i “geopolitici” prezzolati di Rossiya 1, o qualche altro animale da circo – ha additato l’Unione Europea a nuovo nemico capitale dopo aver ripetuto per tre anni la frottola del conflitto in Ucraina come guerra per procura dell’imperialismo americano. Washington è di colpo sfumata all’orizzonte. La vecchia parola d’ordine è scaduta; la nuova, trasmessa da Rossiya 1, è che l’Europa deve essere frantumata come unione politica, di modo che Mosca possa avere comodamente a che fare coi singoli membri componenti, assai più deboli e pertanto accomodanti. Manipolabili, cedevoli. E questa, per i russi, è una grande verità. Così come corrisponde a verità che, disarticolata l’UE e venuto meno il suo appoggio a Kyiv, Putin potrebbe finalmente regolare i conti con l’Ucraina; e far passare uno dei messaggi fondamentali dell’imperialismo russo sin dall’epoca dello zarismo. Che gli ucraini non esistono: essi sono soltanto russi, parte integrante della grande nazione russa.
Come disarticolare l’Unione Europea? Con un fait accompli. Cosa è un fait accompli? Semplificando molto, esso è un colpo di mano col quale ci si impossessa di un territorio conteso, o di rilevanza strategica, prima che l’avversario possa reagire e ponendolo di fronte a un dilemma: accettare che quel territorio è ormai perduto, che il suo possesso da parte del nemico è – appunto – un fatto compiuto cui non v’è rimedio, e subire il danno derivante da questa capitolazione alla propria credibilità e alla propria postura strategica? Oppure accettare il fardello politico e le pesanti incognite del reagire escalando in nuove forme e direzioni, col rischio di provocare un allargamento del conflitto e senza alcuna garanzia che gli sforzi profusi portino al recupero del territorio perduto? La scommessa di chi opta per un fait accompli è sempre che l’avversario ripieghi sulla prima soluzione: soprattutto se, come nel caso di Putin, crede le democrazie europee intrinsecamente deboli e irresolute. Ricorda qualcosa?
Lo stesso fait accompli tentato senza successo in Ucraina potrebbe, per contro, riuscire negli stati baltici. Questo è uno scenario ben noto e ampiamente studiato da almeno un decennio, praticamente sin dalla comparsa dei little green men nel Donbass e in Crimea nel 2014. Per un sunto sullo stato della questione posso rimandarvi, fra tanta letteratura, all’articolo di Michael Kofman pubblicato su War on the Rocks il 3 Novembre 2020: tempi non sospetti. Nel 2022 si opponeva al successo di un fait accompli in Ucraina la dilatazione del tempo e dello spazio, l’attrito cui queste dimensioni sottoponevano l’attaccante durante un’offensiva che si sviluppava lungo un fronte di 1.000 km (grosso modo la distanza fra Parigi e Berlino). I russi erano troppo ottimisti, a Putin era stata presentata dai suoi oligarchi la conveniente fola di un paese disunito e pronto a capitolare. Gli ucraini, per contro, erano risoluti e nella condizione di poter sfruttare la profondità strategica di cui disponevano: cedere spazio in cambio di tempo, mentre la logistica russa progressivamente si esauriva. La spinta russa su Kyiv sarebbe infine fallita, sì, ma dopo una penetrazione di 244 km da parte dell’invasore. Una simile opzione non è a disposizione dei baltici per meri limiti geografici: soltanto 30 km separano ad esempio Vilnius dal confine bielorusso. Occupare rapidamente gli stati baltici, porre l'Unione Europea di fronte al fait accompli e scommettere sull'implosione politica di un'entità ritenuta debole e divisa sembra azzardo ragionevole.
Ancora, diffidate di chi vi dice che se i russi non sono riusciti a piegare in tre anni il modesto esercito ucraino, men che meno essi costituirebbero un problema per le forze armate europee. Nel 2022 l’esercito di Kyiv, per contro, era nelle migliori condizioni possibili per arginare l’offensiva russa, e questo aveva poco a che fare con la geografia. Non solo gli ucraini andavano adottando standard NATO e potevano giovarsi di consiglieri NATO; potevano soprattutto coadiuvare questo aiuto con qualcosa di cui nessun esercito europeo dispone: otto anni di esperienza di combattimento in Donbass, contro lo stesso nemico.
Ribadisco: nessuno, in Europa, oggi può vantare alcunché di simile. Le esperienze di contro-insurrezione maturate dall’esercito britannico in Afghanistan e Iraq, da quello francese nel Sahel, e in varia misura dagli eserciti italiano e tedesco nel peacekeeping in giro per il mondo non hanno nulla a che vedere con le operazioni convenzionali ad alta intensità del teatro ucraino. Per trovare qualcosa di simile occorre risalire nel tempo fino alla guerra di Corea. Gli ucraini hanno esperienza della guerra convenzionale; ora, loro malgrado, anche i russi. Gli europei no.
Senza garanzie statunitensi, la NATO esiste solo di nome. Di fronte a questa minaccia l’Europa, sola, deve dotarsi di un più potente strumento militare. Non credete a chi vi atterrisce col solito non sequitur per cui chi si prepara alla guerra finisce per farla: se anche errassero in buona fede, finirebbero comunque per rendervi deboli e ricattabili da nemici spregiudicati. Vladimir Putin è il vecchio imperialismo calato in forme politiche nuove, conosce soltanto la logica della forza e della sovversione: l’unico modo per fermarlo è dissuaderlo disponendo di una forza maggiore della sua. Occorre deterrenza, non tintinnar di sciabole alla vecchia maniera che tanti paventano. La forza economica dell’Europa, di parecchie grandezze superiore a quella russa, deve infine tradursi in peso diplomatico e militare: non in nome di astratte politiche di prestigio, ma per la salvaguardia stessa dell’Unione e delle sue libertà.