Messi profana il Maracanà E ora il Brasile suda freddo Mar, 17/06/2014 - 07:24 La prima partita del Maracanà ha preso vita solo al minuto 20 del secondo tempo, domenica sera. Quando Lionel Messi è partito con una delle sue progressioni da metà campo, ha triangolato con Higuain e si è portato a spasso 3 bosniaci prima di tirare secco col suo sinistro sul primo palo, carambola e gol. Lo stadio, con dentro i 40mila argentini che hanno invaso Rio più di qualunque altra tifoseria, è esploso perché non aspettava altro. La partita è iniziata e finita lì. È stato quello il primo gol di Messi al Maracanà. Verrà ricordato come quello di Didi, un etiope che giocava in Brasile e che ha segnato qui la prima rete in assoluto in un'amichevole tra paulisti e carioca il 16 giugno del 1950; o come il primo di Pelè, nel 4-0 con cui il Santos ha regolato l'America il 29 maggio del '57 e il primo di Zico, 23 settembre 1973, per il pareggio finale di un 2-2 in un derby tra Flamengo e Vasco. Anche perché un numero 10 argentino che va in gol da queste parti non è cosa comune. E Leo ha ieri avverato anche un sogno mai realizzato da Maradona: andatevi a rivedere come si dispera il Pibe de oro quando, il 14 luglio del 1989, al minuto 33 di Argentina-Uruguay per la Coppa America, sfiora un gol che sarebbe entrato nella storia, un pallonetto da metà campo che scavalca il portiere ma si stampa sulla traversa. Invece niente, né allora, né mai più. La stampa brasiliana celebra, ma con distacco. Diversi opinionisti hanno scritto di «delusione» sia per gli albocelesti, sia per Messi. Ma non è che timore per la nazionale che fa più paura di tutte, perché il terzo titolo all'Argentina conquistato proprio al Maracanà sarebbe un'onta nazionale. In verità Messi ieri ha giocato bene, altroché. Quando la pulce non c'è, come sanno bene a Barcellona, è un'altra storia. Ieri non era così. Il suo piede sta anche nella prima rete, la punizione calciata per l'autogol dallo sciagurato terzino Kolasinac, che ha ucciso la partita già al secondo minuto. Per il resto del primo tempo Leo si è mosso da seconda punta di Aguero, seminando sempre un po' di scompiglio con le sue accelerazioni. Passeggiava poco oltre la linea di centro campo, in attesa della fase offensiva. Ed era poi l'unico che affondava il colpo, mentre a centrocampo e in difesa non mancavano agli argentini i discreti picchiatori per stroncare ogni velleità bosniaca. Ma Messi ha dato il meglio nel secondo tempo, quando il ct Alejandro Sabella ha messo in campo Higuain e lui ha giocato dietro alle due punte. Così, dopo un paio di assaggi, al minuto 20 è arrivato il guizzo che ha estasiato la Bombonera in trasferta a Rio de Janeiro e definitivamente intristito i tifosi balcanici, anche quelli finti: per ognuno di loro ce n'erano almeno 10 carioca, venuti al Maracanà per tifare contro l'Argentina e Messi. E soprattutto per esorcizzare le loro peggiori paure. Per molti sarà stato anche possibile consolarsi lasciando il Maracanà, domenica sera: perché l'Argentina non era stata granché, con una difesa un po' lenta e fallosa; e perché senza l'autogol al minuto due sarebbe stata tutta un'altra cosa, e perché Messi non aveva brillato. A parte il gol. Peccato che proprio quel gol consiglia ai tifosi anti-argentini di non mentire a se stessi. L'impressione rimasta, ai neutrali, è che con i biancocelesti giochi il numero 10 più pericoloso di questa Coppa. Più di Neymar, più di Pirlo. Il compassato Sabella, in conferenza stampa, lo ha detto 2-3 volte: «Messi è il miglior giocatore del mondo tra quelli in attività». Ma proprio per questo «serve un contesto di squadra e di gioco per valorizzarlo». Ed è quello che si è visto domenica sera nel secondo tempo, con un vero numero 10 dietro due punte. Certo una formula molto offensiva e rischiosa per la difesa così così dei biancocelesti. Che su questi equilibri si giocherà la Coppa di Messi. C'è Brasile-Messico Neymar deve vendicare pure la beffa olimpica
Marcello Di Dio - Mar, 17/06/2014 - 07:21
Nell'eremo della Granja Comary a Teresopolis, quartier generale della Seleçao, è spuntata una cresta bionda. È quella di Neymar, «pizzicato» ieri in allenamento a provare i calci di punizione: impressionante la facilità con la quale ha infilato la palla nel sette in due diversi tentativi, sotto gli occhi compiaciuti di Scolari. La sua doppietta alla Croazia ha aperto la caccia alla hexa, il sesto titolo mondiale, e lui ha pensato di festeggiare il debutto da applausi con un nuovo look e un lato della testa completamente rasato. Neymar ha tenuto fede al personaggio, costantemente sulle pagine delle riviste di gossip e moda, che fa tendenza ed è un idolo assoluto dei 200 milioni di brasiliani. A lui il compito di non deludere le attese nemmeno nella seconda sfida. Il peso del prestigio che lo accompagnava, l'emozione dell'esordio in un Mondiale in casa e tante altre suggestioni, non ne hanno scalfito il talento, ora andrà a caccia di conferme e magari di gol (la Snai lo quota in testa per la vittoria della classifica dei bomber). Per il match di Fortaleza - campo dove sabato scorso si è consumata la sorpresa del ko dell'«odiato» Uruguay ad opera della Costarica - Scolari avrebbe voluto confermare l'undici che ha fatto centro con la Croazia. Ma i guai muscolari alla coscia di Hulk - oggetto di una piccola contestazione da parte dei tifosi - potrebbero portare a un ritocco nei tre dietro Fred, anche se gli esami radiografici hanno escluso complicazioni. C'è l'ostacolo Messico per chiudere subito la pratica qualificazione e la mente non può che tornare a due anni fa, quando la «Tricolor» sorprese nella finale ai giochi di Londra Neymar e compagni, confermando la maledizione a cinque cerchi dei brasiliani. Nei tre precedenti al Mondiale, Brasile sempre vittorioso con i messicani, l'ultimo nell'edizione 1962 - secondo successo iridato della Seleçao -, e sempre senza subire gol. E curiosamente quando i sudamericani hanno giocato il 17 giugno - tre volte - non hanno mai steccato. Statistiche a parte, il morale a Teresopolis è alto. Lo testimonia anche il simpatico siparietto tra il ct e Dani Alves: Scolari accenna una tacchettata nelle parti basse del terzino e lui fa finta di crollare a terra dolorante. «La compattezza in ogni reparto di questa squadra mi ricorda quella del 2002 - ripete sempre Felipao, che insegue il record di Pozzo, vincitore di due Mondiali -, in più c'è tanto talento e Neymar può essere decisivo come lo fu Ronaldo». E a proposito delle polemiche sull'arbitraggio nella prima sfida dice: «I miei vanno in campo e giocano, sanno vincere anche senza arbitro. Il tecnico croato ha detto che è un circo? Allora il Brasile finora ne ha avuti cinque, visti i titoli mondiali vinti». E a proposito di politica, logico accostare un'eventuale vittoria finale della Seleçao all'esito delle elezioni di ottobre in Brasile. «Ma la nazionale rappresenta la nostra nazionalità, è al di sopra di governi, partiti e interessi di qualsiasi gruppo», si è affrettata a ricordare la presidente Dilma Rousseff, candidata a un secondo mandato, che ha rivelato di aver tifato per la Seleçao anche dal carcere durante la dittatura militare. «Non era permesso il dissenso, ma il tifo non è mai stato in discussione perchè il calcio è al di sopra della politica», così la Rousseff, fischiata durante la partita inaugurale a San Paolo. «Ma invito i brasiliani a mettere da parte le legittime proteste e le divisioni e a tifare, con un sorriso, la nazionale». C'è un sogno da realizzare e una maledizione - quella del 1950 - da cancellare.
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