Alcuni utenti mi hanno chiesto delucidazioni su parecchi giocatori dell'anteguerra e in particolare su Hector Scarone, genio dell'Uruguay Anni '20. Ho scritto così un pezzo su di lui. Eccolo
I vecchi storici uruguayani, così orgogliosi del loro piccolo Paese che nel calcio è stato così Grande, non hanno dubbi: Pelè? Maradona? Di Stefano? Per loro, il più grande calciatore di tutti i tempi è stato Hector Scarone. E' soprattutto grazie a lui che l'Uruguay, una nazione grande poco più di uno sputo sull'atlante del mondo, è stata per 8 anni la patria indiscussa del football. Altri tempi e altro calcio, d'accordo. Ma non per questo è giusto sminuire, nella storia, la figura di questo meraviglioso giocatore, talmente grande e famoso nel corso degli Anni '20, che "il miglior giocatore del mondo" non fu, per lui, una semplice definizione, ma divenne un vero e proprio soprannome. Al fianco di quello, più semplice di 'Mago': perché tutto ciò che Scarone faceva vedere in campo sembrava derivare appunto dal magico, dal sovrannaturale.
Dopo gli esordi nel ruolo di centravanti, Scarone evolve e si completa: arretra di qualche metro, giocando in posizione di mezzala metodista (il Metodo - WW - è l'unico schieramento in voga ai tempi) e da lì raffina l'intera manovra, assume la bacchetta del comando, dà libero sfogo al suo infinito bagaglio tecnico: assist, gol, punizioni, rigori. Un giocatore che è capace di fare qualsiasi cosa nel settore offensivo. Negli anni d'oro, fioriscono leggende sulle sue qualità: dicono che si faccia lanciare in aria bottiglie da 30 metri per colpirle al volo; o che sia in grado, calciando da una distanza congrua, di infilare il pallone in condotti dal diametro solo leggermente più larghi. Ma veniamo alla sua storia.
Hector Scarone nasce a Montevideo il 26 aprile 1898. La famiglia, di origini liguri come per molti altri emigrati italiani in Sud America (vedi un altro gigante del calcio uruguagio come Juan Alberto Schiaffino), ha il calcio nel sangue. Il talento di casa sembra il cugino Carlos, di pochi anni più vecchio, ma ben presto dovrà cedere il passo. Hector entra nelle giovanili dello Sportsman, squadra di Montevideo che gioca in terza divisione. A 15 anni, passa al più famoso Nacional. Nelle giovanili è già un fenomeno, sicché non ci mette molto a salire in prima squadra e debuttare a 17 anni nel massimo campionato uruguayano.
Nella stagione 1915-16, a 18 anni, parte titolare del Nacional ed è uno degli uomini chiave nella vittoria del campionato. Si ripete la stagione seguente, nel 1916-17. Nel 1917, dopo aver vinto la Copa de Honor e il secondo titolo consecutivo con il Nacional, viene convocato per la seconda edizione del Campionato Sudamericano (l'attuale Coppa America). L'Uruguay, detentore del titolo, non può fare brutte figure. Alla seconda presenza, il 7 ottobre 1917, va a segno nel 4-0 che schianta il Brasile. Sarà il primo di 31 gol in maglia Celeste, un record che resiste per oltre 80 anni, battuto solo da Diego Forlan qualche mese fa (ma all'attaccante dell'Inter sono volute 30 presenze in più: 82 a 52). Il secondo gol in nazionale, nella partita decisiva contro l'Argentina, è fondamentale per proiettare l'Uruguay nuovamente sul tetto del continente.
Nel 1918, Scarone resta a secco di trofei, ma si riscatta alla grande nella stagione 1918-19: trascina il Nacional al terzo titolo nazionale, conquista la Copa del Rio Plata (ne ha già vinta una da comprimario nel 1916 e ne vincerà un'altra da protagonista nel 1920) e in Coppa America fa mirabilie, ma l'Uruguay viene piegato al 122° minuto dal Brasile di Friedenreich nello spareggio decisivo (la partita durerà 150 minuti e, stando ai dati della Fifa, è la più lunga della storia).
Negli Anni '20, Scarone arriva alla piena maturità, consacrandosi come il più grande calciatore del mondo, il simbolo per eccellenza di uno sport che è oramai il più popolare sul pianeta Terra. Diventa la stella della Celeste, la squadra degli Invincibili, che sarà capace di stupire il mondo vincendo 2 Olimpiadi e il primo Mondiale in casa. Scarone conquista altri 3 titoli consecutivi con il Nacional, nel '22, nel '23 e nel '24 e la seconda Coppa America della sua carriera, nell'ottobre del '23. Proprio questo successo spalanca all'Uruguay le porte dei Giochi Olimpici, che si tengono a Parigi.
In quegli anni la capitale francese è la più frizzante, dinamica e culturalmente progredita città europea, se non mondiale. Diventa meta dei più grandi pensatori del tempo, scrittori come Hemingway o Fitzgerald, artisti e pittori, da Picasso a Dalì, registi come Abel Gance. Lo sport non fa eccezione. I Giochi Olimpici vengono organizzati in pompa magna e vedono la consacrazione di atleti favolosi, come ad esempio i britannici Eric Liddell e Harold Abrahams, che saranno immortalati nel film 'Momenti di Gloria'. Ma il pubblico parigino riempie gli stadi e si scalda anche per quei virtuosi del pallone che sono appunto i giocatori della nazionale uruguayana.
Scarone è subito tra i protagonisti dell'imperiosa cavalcata celeste verso l'oro: segna un gol nel 7-0 che all'esordio umilia la spocchiosa Yugoslavia; va ancora in rete nel 3-0 agli Stati Uniti e realizza una doppietta nei quarti di finale, quando l'Uruguay distrugge 5-1 i padroni di casa della Francia. Contro l'Olanda, in una semifinale che si rivela più dura del previsto, Hector infila il rigore del definitivo 2-1 a 10' scarsi dal termine. Non va in gol solo nella finale contro la Svizzera, che l'Uruguay vince in scioltezza per 3-0, ma tanto basta per eleggerlo miglior giocatore della manifestazione (il compagno Petrone si laurea invece capo-cannoniere). I tifosi francesi restano incantati dal gioco dell'Uruguay (i giocatori vengono ribattezzati 'Le meraviglie del Sud America') e in particolar modo dal genio di Scarone. Un giocatore che a 26 anni è oramai nel pieno della maturità tecnica e agonistica e che è capace di qualsiasi invenzione. Picasso nell'arte, Hemingway nella letteratura e Scarone nel calcio: la Parigi degli Anni '20 ha la fortuna di conoscere alcune delle massime figure del '900.
Al ritorno in patria, i giocatori uruguayani sono accolti come eroi nazionali: d'altra parte nessuna nazionale sudamericana era mai riuscita prima a vincere in un continente diverso e all'epoca l'impresa era ancora più difficile, considerata la differente situazione climatica, per non parlare delle diversità dei campi di gioco. Nell'ottobre dello stesso anno, Scarone, oramai ritenuto all'unanimità come il miglior calciatore del mondo, conquista ancora una volta con il suo Uruguay la Coppa America: per lui è la terza in carriera.
Per mettere in bacheca la quarta, basta aspettare solo due anni: è il 1926, infatti, quando l'Uruguay domina l'edizione di Santiago del Cile, segnando ben 17 reti in cinque incontri: quella Coppa è ancora ricordata come una delle più spettacolari di sempre, con una pioggia di reti, stadi gremitissimi e uno Scarone a farla ancora da padrone, autore di 6 reti e di giocate meravigliose. Probabilmente è questa la competizione in cui Scarone raggiunge l'apogeo della sua carriera.
Subito al termine della competizione, Scarone viene tentato dalle offerte di diversi club europei, desiderosi di mettere sotto contratto il miglior calciatore del pianeta. La spunta il Barcellona, già all'epoca abilissimo nello scovare i talenti più luminosi in ogni angolo del globo. Scarone è così il primo nazionale uruguayano a tentare la fortuna all'estero. In Spagna, Hector ha la sfortuna di incorrere subito in un grave infortunio, che compromette buona parte della sua stagione. Rientra però giusto in tempo per mostrare la sua classe: segna 6 reti nelle ultime 9 partite, i suoi duetti con l'asso locale Samitier mandano in visibilio il pubblico di fede barcellonista, ed è tra i protagonisti della vittoria in Coppa del Re. I dirigenti del Barcellona restano estasiati dal suo prorompente finale di stagione e gli sottopongono subito un lungo e ben retribuito contratto professionistico. Ma Scarone rifiuta: se accettasse, sa che dovrebbe rinunciare per sempre alla possibilità di giocare ancora con la nazionale uruguayana e di prendere parte così alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, riservate solo ad atleti dilettanti. Il presidente blaugrana capisce e accetta, ma prima che Hector lasci per sempre la Spagna, gli regala un anello di diamanti e pietre preziose che reca al suo interno lo stemma del Barcellona: un gioiello dal valore inestimabile, dimostrazione dell'enorme stima e affetto dei catalani nei confronti del fuoriclasse sudamericano.
Tornato in Uruguay, Scarone conquista la quarta Coppa Lipton con il Nacional, regala ancora spettacolo in Coppa America (ma deve accontentarsi dell'argento, perché l'Argentina batte 3-2 l'Uruguay nel match decisivo, nonostante due reti di Hector) e si prepara per i Giochi Olimpici del '28. L'Uruguay e l'Argentina sono le grandi favorite, essendo considerate le due migliori nazionali del mondo. Gli addetti ai lavori sperano proprio in una finale tra le due potenze sudamericane e così avviene: l'Uruguay batte Olanda, Germania e Italia (3-2 al termine di un match durissimo, dove Scarone segna, è il migliore in campo e anni dopo il grande giornalista italiano Gianni Brera scriverà un sontuoso articolo sulla sua prestazione) e arriva alla finalissima contro gli arcirivali dell'Argentina. Il punteggio è sull'1-1, quando a una ventina di minuti dal termine, Scarone fa partire un siluro da 35 metri, che si infila nel 'sette' sorprendendo il portiere argentino Bossio. E' il gol-partita. Il pubblico di Amsterdam esplode, è letteralmente ai piedi di quell'incredibile fuoriclasse che da quasi un decennio sta catturando l'interesse dei calciofili di tutto il mondo, portando il gioco del calcio a un livello mai visto prima.
Ma le Olimpiadi non bastano più: il calcio è oramai un fenomeno a sè stante, troppo più diffuso e importante delle altre discipline. Sicché la Fifa decide per la creazione di un torneo ad hoc, un Campionato del Mondo, da disputarsi ogni quattro anni. L'anno scelto è il 1930, il Paese ospitante non può che essere l'Uruguay, la patria del football. Scarone, a 32 anni, gioca così la sua ultima competizione in maglia Celeste. Segna un gol solo (il 31° e ultimo, in partite ufficiali) nel 4-0 alla Romania, ma nella finale, ancora e sempre contro l'Argentina, è al solito un fattore e - da superbo uomo assist e sublime organizzatore di gioco - serve due assist, contribuendo al 4-2 definitivo: l'Uruguay è il primo campione del mondo di calcio. A dire il vero, nel 1930, Scarone - come pure la maggioranza dei suoi compagni, una nazionale di Fenomeni capace di dominare quasi un decennio come sarebbe riuscito poi a pochissime altre squadre nel corso della storia - è un giocatore in parabola discendente, pur mantenendosi a un livello altissimo. L'Uruguay e lo Scarone più forti restano quelli del doppio trionfo olimpico e delle 4 schiaccianti affermazioni in Coppa America.
Nonostante questo, lui è sempre il giocatore più famoso. Nel 1931-32, così, l'Inter, campione d'Italia in carica, decide di acquistare l'oramai 33enne campionissimo e affiancarlo al giovane asso Meazza. In nerazzuro, Scarone è frenato da continui malanni fisici e non ha più lo scatto nè la continuità di un tempo. Le poche volte in cui è in condizione, però, dimostra di avere ancora la stoffa del fuoriclasse: contro la Lazio segna due reti, nonostante un infortunio al volto; e contro il Genoa realizza un gol capolavoro, superando tutti gli avversari dopo essere partito dalla sua area. Il giovane Meazza resta estasiato e dirà un giorno, molti anni dopo: "Aveva 33 anni ed era ancora il migliore al mondo. Faceva cose che noi altri potevamo solo immaginare. Non oso neppure pensare cosa dovesse essere 10 anni prima, quando era al meglio della forma fisica e tecnica. Sinceramente, nel corso della mia vita ho affrontato molti avversari e veduto molti calciatori, ma per me Hector Scarone rimane il più forte di tutti". Un'investitura in piena regola, al pari di quella del leggendario portiere spagnolo Zamora, che definì Scarone "il vero simbolo del football".
La stagione all'Inter si conclude con 7 reti in 14 partite, poi Scarone passa al Palermo, dove diventa un eroe cittadino: con 11 reti in 56 presenze, dà il suo contributo alla doppia salvezza della formazione rosanero. Quindi, a 36 anni, torna in Uruguay, nel suo Nacional. Vince ancora un titolo nazionale, l'ottavo, nel 1934 e gioca fino al 1939, quando si ritira. Con il Nacional chiude a quota 301 reti in 369 partite.
Diventa quindi allenatore, guida il Real Madrid nel 1951-52, ma l'anno dopo rieccolo al Nacional, dove all'incredibile età di 55 anni (!) riprende a giocare. L'esperienza dura una manciata di partite, ma tanto basta per permettergli di stabilire un altro record, ossia quello del più anziano calciatore ad aver mai militato nella massima serie uruguayana e in tutto il Sud America. Dal '54 al '59 allena quindi proprio il Nacional, ma da tecnico non vale un milionesimo di ciò che era stato da calciatore. Il 4 aprile 1967 muore, ad appena 69 anni, e il Nacional gli intitola la curva dello stadio.
Un peccato che un fuoriclasse del genere venga troppo spesso dimenticato nelle valutazioni degli appassionati di calcio del presente. Ma chi l'ha visto giocare, e chi di storia del pallone se ne intende veramente, lo considera uno dei primissimi calciatori di ogni epoca. Non a caso, nel 1950, una delegazione di esperti della Fifa ha nominato Hector Scarone come il più grande giocatore dei primi 50 anni del '900.
_________________ «...ricorda che se anche i nostri dirigenti ci danno per spacciati e dicono che sarebbero contenti anche se perdessimo 4-0, a me non interessa. Io oggi scendo in campo per vincere e voglio che quelli che scendono con me oggi abbiano lo stesso obiettivo. Se vedo qualcuno che non combatte questa battaglia, alla fine della partita dovrà vedersela con me. Fatti forza Ruben, quei duecentomila là fuori non giocano, guardano solamente».
Il capitano Obdulio Varela al giovane Ruben Moran prima della finale del Mondiale 50, Brasile 1 Uruguay 2
Ultima modifica di Marco Bode il mer 21 dic 2011, 10:15, modificato 1 volta in totale.
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