Dagli utenti soggiogati dal culto della personalità (misera) del ducetto che pendono dalle labbra del loro idolo durante ogni diretta facebook è inutile aspettarsi disponibilità a guardare con un minimo di senso critico il proprio idolo; per coloro che fossero interessati alla materia dpcm e limitazioni della libertà invito a leggere questo contributo fresco fresco:
https://www.diritto.it/d-p-c-m-e-limita ... emocrazia/Vi anticipo la conclusione:
Cita:
Rebus sic stantibus, i Decreti emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri in costanza di emergenza sanitaria, da provvedimenti aventi natura meramente amministrativo-regolamentare, sarebbero stati (irrazionalmente) elevati, di fatto, al rango di atti legislativi con forza di legge, pur trattandosi, appunto, di semplici atti normativi secondari, come tali sottratti al vaglio successivo del Parlamento e del Presidente della Repubblica, per di più insindacabili ex post, in quanto sfuggono anche all’eventuale controllo successivo della Corte costituzionale. Ciononostante, tali decreti hanno inciso e incidono tuttora in maniera rilevante su diritti inviolabili e libertà fondamentali dell’individuo, fino a giungere a comprimerli completamente. E a poco rileva la copertura operata dal Decreto Legge 25 marzo 2020, n. 6[4], se si considera che tale “scudo” si risolve, alla fine, nella mera previsione astratta di una facoltà sic et simpliciter demandata, mentre l’applicazione delle misure limitative delle libertà e delle relative sanzioni è in concreto attuata, appunto, per il tramite dei DD.P.C.M.[5].
In considerazione delle riflessioni appena esposte, la decisione di ricorrere ai DD.P.C.M. è stata ‒ con riferimento specifico alle parti in cui essi prevedono pesanti compressioni dell’esercizio di certe libertà fondamentali e costituzionalmente garantite ‒ una scelta che ben può esser definita irrazionale (giacché costituzionalmente tutt’altro che orientata) quanto agli aspetti giuridico-formali, discutibile sotto il profilo dell’opportunità giuridica (giacché il Governo avrebbe potuto ricorrere ai “più sicuri” decreti-legge) sicuramente infelice dal punto di vista politico. Se si adottasse, poi, la soluzione interpretativa in base alla quale i DD.P.C.M. in parola avrebbero violato anche il principio della riserva di legge in materia penale, non si andrebbe molto lontano dal vero se per essi si usasse l’aggettivo “abnormi”.
Anche se il tiro, come dicevamo, è stato in seguito corretto ‒ si è posto rimedio, infatti, alle “manchevolezze” sostanziali dei DD.P.C.M con la cancellazione delle sanzioni penali e, sotto il profilo formale, “scudandoli” con un decreto-legge ‒ non si può negare lo stupore suscitato dal silenzio, in origine e ancora persistente (almeno fino al momento in cui si scrive), della comunità giuridica: se si è sollevata solo qualche voce a sostegno delle scelte dell’Esecutivo[6] ‒ quasi che si fosse formato un tacito pensiero dominante, una sorta di silente monopolio giuridico-culturale –, risultano parimenti inesistenti (a parte quella del costituzionalista Ainis, e di cui alla nota n. 2 “) prese di posizioni nette da parte dei costituzionalisti volte a rimarcare quanto meno l’irritualità e l’inopportunità delle scelte operate dal Governo, e segnatamente del Presidente del Consiglio.
Non si può che condividere lo stupore per il silenzio della comunità giuridica.
Qui un altro passaggio importante:
Cita:
Ai nostri fini viene in considerazione, in ragione della situazione di estrema gravità e urgenza legata al particolare contesto pandemico-emergenziale in corso, la figura del decreto-legge, giacché esso è un provvedimento che il Governo può adottare in casi di necessità e urgenza, motu proprio, ovvero senza delegazione delle Camere, e sotto la sua responsabilità: deliberato dal Consiglio dei Ministri e emanato con decreto del Presidente della Repubblica, entra in vigore il giorno stesso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, che avviene immediatamente dopo la sua emanazione. Il decreto-legge reca, tuttavia, il carattere della provvisorietà, dal momento che ne è richiesta, entro 60 giorni, la conversione in legge da parte delle Camere. A differenza del D.P.C.M., il decreto-legge non sfugge, quindi, al vaglio del Parlamento e neppure all’eventuale successivo sindacato di legittimità da parte della Corte costituzionale.
Nella fase sanitario-emergenziale in essere, tuttavia, il Governo (rectius: il Presidente del Consiglio) ha fatto inopinatamente e ripetutamente ricorso ‒ piuttosto che alla decretazione d’urgenza di cui all’articolo 77 della Costituzione, sicuramente più opportuna e attinente al contesto, in quanto, se nella sostanza avrebbe soddisfatto appieno le esigenze di applicazione tempestiva di misure urgenti e concrete volte al contenimento della diffusione del virus Covid-19, sotto il profilo giuridico-formale sarebbe stata immune dal prestare il fianco o dare adito a critiche e/o incomprensioni di sorta, anche, e specialmente, dal punto di vista politico ‒ alla categoria giuridica del D.P.C.M. (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). Si è assistito, infatti, a un uso reiterato e massiccio, a un convulso susseguirsi di tale tipologia di provvedimenti (ben sette in poco più di un mese, a far data dal 1° marzo e fino al 10 aprile), seppure ciascuno di essi coperto, per quel che qui interessa, da due decreti-legge (25 marzo 2020, n. 19 e 23 febbraio 2020, quest’ultimo peraltro abrogato, quasi in toto, dal primo). Tale proliferazione si giustificherebbe ‒ si presume ‒ in ragione dell’immediata approvazione e operatività, data l’estrema urgenza, dei provvedimenti in parola. Caratteri di tempestività e urgenza ‒ si noti ‒ insiti però anche nella natura stessa del decreto-legge, costituendo proprio la ratio naturale e la struttura propria di esso.
Non si spiega, quindi, il mancato ricorso, da parte del Governo, allo strumento del decreto-legge, a vantaggio dei “più sbrigativi” DD.P.C.M..