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La notizia del giorno (si fa per dire) è la chiusura di due librerie Feltrinelli a Roma. Come già successo in passato, la notizia mi ha fatto riflettere e mi ha generato anche un embrione di senso di colpa. Delle svariate centinaia di euro che ogni anno spendo in libri, infatti, una parte modestissima (a naso direi sotto l’otto per cento) è spesa in librerie tradizionali. I libri li acquisto su Amazon e, in più piccola parte, su altri siti (libri usati o rari). Come altre volte in passato, mi sono chiesto se io non stia, più o meno consapevolmente, contribuendo alla crisi di parte dell’industria culturale del mio paese.
Obiettivamente credo di no. La ragione per cui non acquisto più in libreria non è la pigrizia o gli sconti di Amazon. È vero che vivere in una città come Roma, dove ogni attività è faticosa, rende poco attraente l’andare in libreria ed è anche vero che risparmiare non dispiace certo. Non credo che siano queste le ragioni del mio abbandono delle librerie. Le librerie, che siano “indipendenti” o punti vendita di grandi catene, di fatto non corrispondono più alla mia domanda. Volendo fare una tassonomia grossolana, i miei acquisti di libri sono di due tipi: la saggistica che leggo per lavoro e i libri che leggo per “svago” (narrativa e saggistica non direttamente collegata al mio lavoro).
Per quanto riguarda i libri che leggo per lavoro, questi sono per la stragrande maggioranza in lingua straniera. Per questi le librerie hanno ben poco da offrire. Ricordo l’era pre-Amazon: i libri si ordinavano presso librerie specializzate (come, a Roma, Herder, ormai chiusa da tempo) e si attendevano per giorni, se non settimane. Ma il tempo non era il problema peggiore. I libri si pagavano secondo il cosiddetto “cambio librario” e si spendevano cifre spropositate. Ricordo ancora di avere speso, ai tempi dell’università, quasi 300.000 lire per una nuova edizione della Theory of Moral Sentiments di Adam Smith. Una cosa sconsiderata. Da questo punto di vista Amazon (e l’e-commerce, in genere) non è stata una benedizione, è stato il Santo Graal. Non si può nemmeno dire che Amazon abbia sbaragliato la concorrenza delle librerie internazionali. Di fatto, Amazon ha creato un mondo diverso. È come se si fosse passati dal manoscritto miniato alla stampa a caratteri mobili.
Per quel che riguarda i libri di “svago”: nel campo della narrativa ben poca parte di quelli che leggo sono le ultime novità di cui parlano le pagine culturali dei quotidiani, di cui si chiacchiera nei social e che vincono premi letterari. Mi rendo conto, peraltro, che questo genere di libri sono quelli che compro di impulso e per curiosità le volte che capito in libreria. Molta parte della narrativa che leggo non è presente a scaffale nelle librerie. Stesso discorso vale per la saggistica letta per svago.
Ok, le librerie non soddisfano il mio tipo di domanda, ma forse andrebbero comunque sostenute in quanto avamposti della civilizzazione e della cultura nel tessuto urbano.
Personalmente, se entro in una libreria di una grande catena (Feltrinelli o Mondadori) non mi sento affatto in un avamposto della civilizzazione. Sono supermarket di uno specifico genere di consumo e niente più. Non sono molto diversi da un negozio H&M o Zara, con la differenza che in questi ultimi non mi #@*§ come mi #@*§ quando vedo certe schifezze esposte nel reparto “Filosofia” di una libreria. Le piccole librerie indipendenti, d’altra parte, sono spesso belle e romantiche, ma anche in questo caso spesso non ne vedo una grandissima funzione sociale. Ogni tanto, preso dai sensi di colpa, entro in qualche piccola libreria e - a dirla tutta - l’accoglienza non è quasi mai tale da invogliare a tornare e stabilire un legame. Un discorso un po’ diverso, forse, va fatto per le librerie “indipendenti” nei piccoli centri urbani, librerie che - per quello che vedo - spesso rappresentano ancora punti di aggregazione e motori di vita culturale. A Roma, però, mi pare che questa funzione venga in parte assolta solo dalle librerie che, di fatto, non sono librerie, ma che sono caffetterie e piccoli centri culturali in cui, fra l’atro, si vendono dei libri.
Senza nessuna pretesa di volere universalizzare la mia esperienza, dal mio punto di vista le librerie, almeno nelle grandi città, sono oggetti che hanno fatto il loro tempo e che oggi come oggi hanno una utilità modesta. a meno che non siano dei locali di incontro dove oltre a cappuccini, calici di vino, fra i prodotti in offerta ci siano anche libri e incontri con autrici e autori.
P.s.: la questione delle condizioni di lavoro dei dipendenti Amazon (e dell’e-commerce in genere) è volutamente omessa, non perché non sia importante, ma perché non ha immediatamente a che fare con l’oggetto del post.
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