Roma - Il premier Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicolas Sarkozy hanno firmato oggi a Roma l’accordo intergovernativo sul nucleare che vedrà Italia e la Francia sempre più vicine nella produzione di energia dall’atomo. L’accordo - firmato a villa Madama al termine del vertice italo-francese - è accompagnato da due memorandum of understanding tra i due gruppi elettrici Enel ed Edf. "C’è una relazione molto cordiale, un’amicizia e una vicinanza tra Italia e Francia - ha spiegato il Cavaliere - ho colto l’intenzione di Sarkozy di aumentare le attività comuni e quanto possiamo fare insieme tra i nostri due Paesi e soprattutto in Europa".
Un accordo storico In conferenza stampa il titolare dell’Eliseo ha definito "storico" l’accordo e ha affermato che se l’Italia dovesse confermare l’intenzione di aprire al nucleare, la Francia "propone una partnership illimitata". Per il presidente del Consiglio il summit ha confermato che tra Roma e Parigi "c’è una visione comune su tanti problemi, su come devono essere cambiate le regole e sul modo in cui deve cambiare l’Unione europea". Il premier italiano ha, poi, puntato il dito contro "il fanatismo ideologico di una parte politica" che "ci ha impedito la strada del nucleare". "Dobbiamo svegliarci dal nostro sonno, adeguarci, perché il futuro è nell’energia rinnovabile e nel nucleare", ha spiegato Berlusconi facendo sapere che l'Italia collaborerà "alla realizzazione di altre centrali nucleari in Francia e in altri paesi" e "affronterà la costruzioni di centrali nucleari in Italia, con al nostro fianco la Francia che ci ha messo a disposizione il suo know how, ciò che ci consentirà di risparmiare diversi anni e iniziare la costruzione delle centrali in un tempo assolutamente contenuto".
L'accordo sul nucleare Il principale accordo riguarda tutti gli aspetti del nucleare, dalla collaborazione in sede europea ai temi della sicurezza, dalla cooperazione tecnologica alla formazione dei tecnici, dallo smantellamento degli impianti alla collaborazione industriale in Paesi terzi. Nel clima della pax electrica sancita all’ultimo summit di Nizza nel 2007, l’intesa prevede - secondo indiscrezioni di stampa - che Edf partecipi alla costruzione di una centrale nucleare di nuova generazione in Italia, mentre per Enel si profila una quota (12,5%) della futura centrale Epr di Penly che sarà costruita da Edf. Non solo. Non appena la legge che prevede il ritorno del nostro paese al nucleare sarà approvata, i due colossi elettrici dovrebbero dare vita ad un consorzio guidato da Enel (60%) ma aperto al contributo di altri operatori - A2A, Eon, gruppi energivori, Eni, Sorgenia - che ha come obiettivo quello di costruire nel nostro paese almeno 4 reattori Epr prodotti dalla francese Areva. Ora la legge si trova ferma in commissione industria al Senato. I tempi utili di approvazione saranno di non meno due mesi. Dopo il governo avrà sei mesi di tempo per la scelta dei siti che dovranno ospitare le nuove centrali nucleari italiane.
La collaborazione industriale Una parte rilevante del documento in discussione è destinata a definire anche la collaborazione industriale sempre nel settore nucleare tra Areva e Ansaldo Energia nella costruzione e nella progettazione dei reattori nucleari Epr. Ansaldo dovrebbe essere pienamente coinvolta, attraverso la sua controllata Ansaldo Nucleare non solo per quanto riguarda la realizzazione e la progettazione dei reattori italiani, ma anche per quanto riguarda quelli in via di autorizzazione in Francia e quelli che sono stati già commissionati da Areva in paesi terzi. Altro capitolo del protocollo di intesa tra i due paesi riguarda una piena collaborazione sul tema delle scorie che coinvolge la Sogin e l’apertura di una più forte collaborazione nel settore della ricerca con un occhio particolare da parte dei francesi nei confronti delle università italiane. La scelta di realizzare 4 reattori Epr in Italia implica come contrappeso che il resto della flotta nucleare italiana sarà costuituito dai reattori Ap 1000 fabbricati da Westinghouse. Si parla di almeno sei reattori raggruppati in due centrali che saranno costruiti per raggiungere il target di circa 12mila megawatt dichiarato dal governo.
Il piano per le infrastrutture In cantiere dodici opere per 120
miliardi di euro: siglato anche l'accordo nell’ambito del settore dei trasporti che prevede che entro sei settimane saranno pronti i bandi di gara per il valico di Frejus. "Noi - ha detto il presidente francese - quest’anno ci ritroviamo nel doloroso decimo anniversario del Bianco. Ci è voluto che i nostri governi facessero enormi lavori e i bandi di gara per il Frejus saranno pronti tra sei settimane. Sono anni che se ne parla, è una decisione concreta". Il titolare dell'Eliseo ha, inoltre, espresso apprezzamento per il governo italiano per gli sforzi messi in atto "per convincere i Comuni per la Torino-Lione e per il trasporto modale".
Gli assetti mondiali "L’Occidente ha bisogno degli Stati Uniti, ma anche della Russia come fornitore di materie prime", ha spiegato il presidente Berlusconi sottolineando che tra gli obiettivi comuni dei due Paesi c’è quello di "rapporti cordiali" tra Mosca, Bruxelles e Washington. Il premier è dunque tornato sui giorni della crisi tra Georgia e Federazione russa e ha ringraziato Sarkozy per il ruolo avuto durante il mese di presidenza del Consiglio europeo. "C’è stata una gestione determinata e intelligente - ha detto il premier italiano - che ha consentito di andare a fondo nei problemi e si è concretizzata nei momenti importanti come la fine dell’attacco della Russia alla Georgia". Se l’attacco fosse andato fino in fondo, ha aggiunto Berlusconi, "si rischiava un divorzio drammatico tra Ue, Nato e Russia" e il "ritorno alla guerra fredda".
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Contrordine degli ambientalisti: "Solo il nucleare salverà la Terra"
di Vittorio Macioce
Questa è la rivincita di Enrico Fermi e dei ragazzi di via Panisperna. Le centrali nucleari non evocano più l’apocalisse, il freddo siderale di Chernobyl, le atmosfere da day after, con la neve e la polvere atomica, di certi video anni ’80. Le marce del popolo verde a Montalto di Castro sono archeologia storica. Il nucleare, quello che l’Italia ha cancellato con un referendum emotivo, non è più un tabù. Lo dicono gli ambientalisti, di tutto il mondo. Qualcosa è cambiato. Questo è il momento in cui molti ecologisti fanno outing e dicono: ci siamo sbagliati. Le centrali nucleari sono indispensabili per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Il concetto è semplice: per salvare la madre terra l’unica strada è non demonizzare il caro vecchio atomo. È quello che scrivono sull’Independent quattro inglesi «pentiti». Stephen Tindale, fino al 2005, era il direttore di Greenpeace:
«È stata come una conversione religiosa. Essere contro il nucleare era il primo comandamento di un ambientalista, ma mi sono reso conto che l’energia atomica è meglio dei cambiamenti climatici». E chi sono gli altri tre? Lord Chris Smith of Finsbury non è un barone qualsiasi, ma il presidente dell’agenzia britannica per l’ambiente. Chris Goodall, uno storico pasdaran verde, e Mark Lynas, giornalista e autore di Six Degrees, i «sei gradi che possono cambiare il mondo», una sorta di cronaca sul come finiremo tutti arrosto. Questi quattro cavalieri dell’apocalisse non hanno rinnegato la propria religione,
ma hanno spuntato dalla lista dei peccati mortali il nucleare. Lynas arriva perfino a dire che la moratoria sulla costruzione di nuove centrali, ora revocata dal governo di Londra, è stata un «errore enorme, per il quale ora la terra sta pagando il prezzo». Gli ecologisti si sono resi conto che l’unica alternativa al nucleare sono le vecchie centrali a carbone. Quelle che hanno riempito il cielo di nebbia verde.
Gli ecologisti, per più di vent’anni, si sono mossi nel mondo come una masnada di Savonarola. È stato il loro grande errore ideologico. Hanno trasformato la sacrosanta tutela della terra in una guerra santa, da invasati, carichi di verità assolute, di scomuniche. Questo è buono e questo è cattivo. Ma l’atomo non è il demonio e neppure la «particella di Dio». È solo l’energia più pulita e meno costosa che c’è. Ora, adesso. Come al solito è il male minore. È pericoloso se ci giochi male, se non stai attento e si porta dietro il problema delle scorie, che vanno smaltite. E non è facile. Ma questo lo sapeva anche Fermi, quando il 2 dicembre 1942 fece partire, a Chicago, il primo reattore nucleare a fissione.
La lista dei crociati pentiti è lunga. Patrick Moore, co-fondatore di Greenpeace, ha scritto un mea culpa. «Ho dovuto cancellare trent’anni della mia vita». James Lovelock, padre spirituale del «principio di Gaia», quella quasi religione olistica che adora la Terra come unico e grande essere vivente, ora sostiene:
«L’opposizione al nucleare si basa su una paura irrazionale alimentata da fiction di tipo hollywoodiano, la lobby verde e i media». Stewart Brand, fondatore di The Whole Earth Catalog, assicura che lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi è «un problema sormontabile».
ui, in Italia, ha fatto scandalo la conversione di
Chicco Testa. Nel 1987 era presidente di Legambiente e fu uno dei promotori dei tre referendum anti nucleare. «Pentito? Una volta, molti anni fa, scrissi in un articolo di essermi pentito per un’opinione sostenuta. Allora ero deputato nel Pci e Pajetta mi mandò un biglietto con queste parole: un comunista può cambiare opinione, ma non pentirsi. Nelle scelte pubbliche questa parola non dovrebbe esistere. Non sono argomento di fede. Non mi piacciono gli anatemi che si scagliano contro i pentiti. E neppure le Sante Inquisizioni». Chicco Testa non si è pentito. Ha solo cambiato idea. In mezzo ci sono vent’anni senza centrali nucleari.
Tutti gli anti nuclearisti raccontano la conversione come la fine di un pregiudizio. Gwyneth Cravens, autrice di Il nucleare salverà il mondo, partecipava a tutte le manifestazioni al Greenwich Village di New York. È cresciuta a Albuquerque e da bambina immaginava montagne piene di armi nucleari, funghi atomici che avrebbero sovrastato gli altipiani e contaminato i fiumi, con l’amichetta di scuola preparava piani di evacuazione extraterrestri in caso di attacchi sovietici: «Ero terrorizzata dalla Guerra Fredda, da Chernobyl e dalle radiazioni. Poi ho scoperto i fatti, le cifre. E ho cambiato idea». La luce arriva grazie a un incontro, quello con il chimico Rip Anderson, scienziato ecologista che lavora nel laboratorio nucleare del Nuovo Messico. «Un giorno mi parlò bene del nucleare e io ero in completo disaccordo. Lui mi suggerì di andare a verificare con i miei occhi. È quello che feci». Il risultato è che il nucleare costa poco, azzera l’inquinamento da biossido di carbonio e i rischi di malattie cardio-respiratorie. L’esempio migliore è la Francia. «Il cielo francese era sporco, oggi è pulito».
I monatti della paura non fanno bene al mondo. La rivincita del nucleare, in fondo, racconta questo. La paura è terre fredde e siderali. È l’apocalisse del gelo e quella del fuoco. È il surriscaldamento e le acque che si ribellano e inondano i continenti. È il futuro prossimo venturo di Cortina con il mare. È la voglia di tirar fuori tutti i nostri incubi e poi farli diventare politica. È quel maledetto buco nell’ozono. È la primavera troppo calda o troppo fredda. È la fine delle mezze stagioni. È il bagno di qualche pesce strambo, e tropicale, nel Mediterraneo. È il cielo di Asterix, che prima o poi ti cade in testa. La fine del mondo magari è vicina, ma è meglio che non siano gli ecologisti ad annunciarla.
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Nucleare: 60 miliardi di euro è il costo di quel famoso "no"
Milano - Centoventunomilamiliardi di lire. Più o meno 60 miliardi di euro. Una cifra difficile anche solo da immaginare, oltre che da pronunciare. Circa trenta volte il pacchetto di incentivi varati per salvare dalla crisi il settore auto, o il doppio di quanto si è speso per l’Alta velocità tra Milano e Bologna. È la stima di quanto sia costato all’Italia il no al nucleare. Tre miliardi all’anno per vent’anni. Una stima prudente, considerata troppo bassa da molti. A cominciare da chi, per primo, l’ha elaborata.
Era il 1987 quando l’Enel calcolava in 121 mila miliardi di lire il costo della sostituzione dell’energia atomica con quella prodotta bruciando idrocarburi. La cifra è dunque vecchia di più di venti anni, non tiene conto dell’inflazione, ma parimenti neanche del fatto che all’epoca il greggio costava 10 dollari al barile, mentre oggi viaggia come un fulmine tra i quaranta e i 147 del luglio scorso.
«Con il petrolio ai valori attuali», calcolava un anno fa Paolo Fornaciari, presidente onorario dell’Associazione nucleare italiana, «quel costo oggi può essere stimato in oltre 200 miliardi di euro». La stima, di per sé già spaventosa, diventa inimmaginabile considerando i «costi accessori». Perché, nell’italia dei comuni denuclearizzati, c’è un posto in cui l’atomo si fa ancora sentire: nella cassetta delle lettere. In bolletta infatti continuiamo a pagare i costi legati allo smantellamento delle quattro centrali atomiche di Latina, Trino Vercellese, Caorso e Garigliano. Costi legati, oltre ai lavori sugli impianti (la dispendiosissima chiusura del ciclo del combustibile nucleare) anche agli oneri verso le imprese per le interruzioni dei contratti.
A maggio 2008 l’Authority per l’Energia calcolava questa spesa in 420 milioni di euro all’anno. Ogni anno. Dal 1988. E non è finita. Ogni gennaio 60 milioni vanno via per compensare comuni e provincie in cui sono presenti rifiuti nucleari, mentre un miliardo tondo è finito nella casse di Sogin, società creata per la gestione del dopo nucleare e delle scorie.
Cifre che non si esauriranno presto, anzi: il lavoro dello smantellamento di Caorso, per esempio, è solo al 6% di realizzazione. Tanto che gli esperti ritengono ancora possibile il riavvio dei reattori. Forse, anche alla luce del nuovo corso inaugurato con l’accordo con la Francia, si farà davvero. E, sempre forse, senza troppi problemi da parte dalla popolazione: il 59% dei partecipanti al sondaggio quotidiano di Sky Tg24 si è detto ieri favorevole ad avere una centrale nucleare vicino casa. Tutto sommato dunque 60 miliardi di euro sono davvero una stima prudente. Soprattutto perché non prendono in considerazione i costi, quelli sì, davvero incalcolabili, indiretti. Ovvero la perdita totale delle competenze specifiche nel campo della fisica nucleare (eravamo leader fino agli anni settanta, oggi siamo fermi a zero) e la ridotta competitività delle nostre aziende rispetto alle loro concorrenti estere (un ditta italiana paga 11,66 euro per chilowattora, una inglese 7,72, una francese 5,08).
Ma già che parliamo di valori ipotetici, immaginiamo cosa l’Italia avrebbe potuto fare se non avesse dovuto privarsi di una cifra simile: avrebbe potuto dotarsi di 15 centrali nucleari di terza generazione, avrebbe reso indipendenti dal punto di vista energetico quasi 20milioni di italiani (dotando le loro case di impianti fotovoltaici), avrebbe potuto costruire due miracoli dell’ingegneria come la «diga delle tre gole», appena completata dal governo cinese. Invece questo mare di denaro è stata dissipato. Il tutto sulla scia della paura di un’altra Cernobyl.
Il tutto senza sottrarsi del resto al rischio di un’altra Cernobyl, visto che siamo circondati dalle centrali di Francia, Slovenia, Svizzera, Germania. E raramente le radiazioni vengono fermate alla frontiera.
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che ne pensate?
da parte mia sono favorevole,il nucleare ha un costoo basso e produce molta energia,oramai le centrali hanno ragguinto un livello di sicurezza alto,inquinano davvero poco...perchè ciecamente continuare ad opporci?