OriginiNonostante il nome italiano con cui è ormai noto anche nelle altre lingue, il catenaccio ebbe le sue origini negli anni trenta in Svizzera, per iniziativa del tecnico austriaco Karl Rappan (1905-1996). Egli propose per la prima volta il catenaccio nel 1932 quando sedeva sulla panchina del Servette. Nel modulo cosiddetto del "sistema", in auge nel calcio di allora, i difensori erano tre (due terzini ed un difensore centrale, detto stopper), generalmente impegnati in una marcatura a uomo. Per ottenere maggiore copertura difensiva Rappan ebbe l'idea di togliere un mediano da centrocampo che veniva arretrato dietro la linea dei difensori, rendendolo "libero" da qualsiasi compito di marcatura fissa. Il libero era infatti destinato a eventuali raddoppi di marcatura e a recuperare i palloni sfuggiti ai compagni di reparto. Rappan ripropose il catenaccio allorché si trovò a guidare la nazionale elvetica al campionato del mondo del 1938 in Francia. Con questa variazione del sistema, che fu battezzata in francese, verrou cioè, appunto, "catenaccio", la modesta nazionale Svizzera ben figurò nel torneo, eliminando la Germania al primo turno e arrivando fino ai quarti di finale, nei quali cedette all’Ungheria, futura finalista.
Il catenaccio in ItaliaIl catenaccio si affaccia nel nostro paese nel campionato di Serie A 1941-42 con Mario Villini, allenatore della Triestina[1]. Nel Campionato Alta Italia del 1944, non riconosciuto ufficialmente dalla FIGC, Ottavio Barbieri fa adottare il catenaccio alla sua squadra, VV. FF. La Spezia, che sorprendentemente vincerà la competizione, imponendosi sul Torino di Valentino Mazzola[1]. Giuseppe "Gipo" Viani, nel torneo di Serie B del 1946-47 schiera la sua Salernitana con il catenaccio, ottenendo una lusinghiera promozione in Serie A[1]. La stampa sportiva conia il nome di "Vianema" per indicare la tattica della squadra campana. Alfredo Foni sarà il primo tecnico a vincere uno scudetto utilizzando il catenaccio. Nel campionato di Serie A 1952-53 applica questa tattica all'Internazionale, schierando il terzino destro Blason nel ruolo di libero ed arretrando l'ala destra Armano a terzino[1]. Ma i più grandi interpreti del catenaccio in Italia furono Nereo Rocco ed Helenio Herrera.
Nereo Rocco fu tra i primi ad applicare il catenaccio in Italia, fin dal 1946-47, sua prima stagione come tecnico della Triestina. Il modulo di Rocco, cui talora ci si riferisce come il "vero" catenaccio, prevedeva comunemente una formazione del tipo 1-3-3-3 con un atteggiamento rigidamente difensivo. Alcune variazioni sul tema prevedevano schemi come l'1-4-4-1 e 1-4-3-2. Valendosi di questo schema Rocco riuscì addirittura a portare la squadra giuliana ad un sorprendente secondo posto finale nel campionato 1947-48, ripetendosi dieci anni dopo col Padova, giunto terzo nella stagione 1957-58. Una volta passato sulla panchina del Milan, riuscì a vincere nel decennio dei sessanta due titoli italiani, due Coppe dei Campioni, una Coppa intercontinentale ed una Coppa delle Coppe.
Negli anni sessanta Helenio Herrera vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali con l'Internazionale. Il modulo di Herrera prevedeva lo schieramento di tre difensori cui erano assegnati compiti di stretta marcatura sull'uomo con un libero alle loro spalle. Davanti al pacchetto arretrato si posizionava un regista capace di lunghi e precisi passaggi per superare il centrocampo avversario e servire i centrocampisti avanzati e le punte.
Evoluzione schematicaCome accennato in precedenza, il Catenaccio derivava direttamente dal Sistema, mutuandone le rigide marcature ad uomo. Tuttavia differiva da esso per l'aggiunta di un quarto difensore, generalmente prelevato dal centrocampo che pertanto passava da quattro uomini a tre.
Questo spostamento poneva in inferiorità numerica a centrocampo le squadre che giocavano col Catenaccio, soprattutto contro quelle che adottavano il Sistema. Pertanto, alla fine degli anni 50, si iniziò ad arretrare la posizione di una delle due ali, in genere quella destra, allo scopo di riequilibrare le forze e la densità in mezzo al campo. Iniziava così l'era dell'"ala tattica" o "ala tornante" e gli attaccanti veri e propri da tre passavano a due. L'arretramento dell'ala destra provocò conseguentemente l'avanzamento del terzino che l'aveva in marcatura. Il terzino sinistro diventava quindi "fluidificante" e sempre più propenso alle scorribande verso l'area avversaria. Massime esponenti di questa evoluzione furono l'Inter di Helenio Herrera ed il Milan di Nereo Rocco nei primi anni 60.
Nella seconda metà degli anni 70 inizia ad affermarsi la tattica della marcatura a zona. Tuttavia il Catenaccio resiste seppure con la contaminazione della marcatura a zona nel solo settore del centrocampo. Questa evoluzione del catenaccio prenderà nome di Zona mista e verrà praticata con molto successo principalmente dalla Juventus di Giovanni Trapattoni e dalla Nazionale Italiana di Enzo Bearzot e di Azeglio Vicini.

(Il Catenaccio di Karl Rappan)

(Catenaccio anni '60)

(Zona mista)
Nell'attualitàOggi il catenaccio, almeno nella sua forma più rigidamente difensivistica, è caduto in disuso, sebbene venga adottato da un discreto numero di squadre più deboli per mascherare il divario tecnico che le separa dai grandi club. Al catenaccio possono però ricorrere squadre che nel corso della partita vengano a trovarsi in inferiorità numerica per infortuni o espulsioni. L'utilizzo del catenaccio può essere limitato a una particolare fase della partita o a tutto il corso della gara. In questo caso le possibilità offensive della squadra si riducono alla tattica di contropiede. L'adozione prolungata del catenaccio, tuttavia, richiede particolari doti tecniche di tutto il reparto difensivo, in particolare ottimi colpitori di testa, un affiatamento delle linee difensive per raddoppi di marcatura e per l'uso tattico del fuorigioco e pulizia e correttezza di gioco assoluta svolgendosi il gioco prevalentemente in area di rigore o nelle immediate vicinanze. Una visione stereotipata ma ancora molto diffusa internazionalmente attribuisce alle squadre italiane l'utilizzo del catenaccio[3], sebbene oramai molti club italiani preferiscano adottare moduli più moderni come il 4-4-2, con i difensori liberi di spostarsi in tutte le zone del campo. Lo schieramento del modulo completamente difensivo è estremamente raro tra squadre di pari livello tecnico e il ricorso allo schema difensivo puro può essere richiesto da particolari situazioni di gioco.
Il termine catenaccio è stato recentemente ripreso dai mass media per indicare l'atteggiamento adottato dall'Inter nella gara dell'aprile 2010, disputata contro gli spagnoli del Barcellona al Camp Nou e valevole per la semifinale di ritorno della vittoriosa edizione 2009-2010 della UEFA Champions League. Nel corso della sfida, infatti, per l'espulsione del centrocampista Thiago Motta, l'allenatore della formazione nerazzurra José Mourinho avrebbe adottato un catenaccio alla Herrera, volto a conservare il vantaggio acquisito nella gara d'andata conclusasi sul risultato di 3-1 in favore dell'Inter.[4][5] Curiosamente, è stato utilizzato lo stesso termine per definire l'atteggiamento utilizzato dal Chelsea sempre contro il Barcellona nelle semifinali della vittoriosa edizione 2011-2012 della UEFA Champions League.