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...ed esige un commento di Epico !.

Una volta impressa su pellicola la parabola esistenziale di Diego Armando Maradona, il miglior piede mancino mai transitato su quest’ellisse ormai sovrappopolata, Emir Kusturica si trovò afflitto dal cruccio di trovare un degno titolo per l’opera. Posporre prosaicamente «by Kusturica» al cognome del Barrilete Cósmico (il copyright è di Víctor Hugo Morales, telecronista uruguaiano) fu per il cineasta sarajevese la soluzione al dilemma. Marco Risi, figlio del sommo Dino, per intitolare la propria versione cinematografica di Diego, ha invece optato per uno degli episodi con maggior valore simbolico mai affrescati da Maradona nella memoria dei calciofili: la mano de Dios.

Termometro della grandezza del gesto, io ritengo sia la risonanza che esso ha avuto in ambiti estranei al calcio – l’ottava arte, nella mia personalissima concezione delle cose – quali la già menzionata cinematografia, e la musica: Rodrigo Bueno, nel 2000, poco prima di lasciar questa terra a bordo di un’autovettura, dedicò al proprio idolo una struggente letra (un testo, di una canzone, diremmo noi italiani). Titolo? La mano de Dios, claro. E qui, doveroso ritorno al docufilm kusturicano.

Emir e Diego ghignano, riflettono, palleggiano. Una stoccata ad Antonio Matarrese, un’altra a João Havelange. Due parole su Fidel, altre due su Che Guevara, qualcun’altra dedicata alla «blanca mujer de misterioso sabor y prohibido placer» – così cantò Rodrigo – ed all’affetto per la prole e l’odio per determinati personaggi e fazioni politiche. Ma la scena più struggente, la pellicola la regala quando Diego impugna un microfono, e si abbandona all’emozione, intonando la melodia ispirata alla sua vita, ed al suo gol all’Inghilterra.

La partita a Città del Messico


Trasferendoci altrove con l’ausilio della mitologica DeLorean, eccoci catapultati al 22 giugno 1986. Siamo a Città del Messico: centoquattordicimilacinquecentottanta fortunati affollano le tribune dello Stadio Azteca. Negli spogliatoi di questo tempio dedicato al culto di Eupalla, Maradona aizza i suoi compagni: sa bene che, per avere la meglio sugli inglesi, è necessario tirar fuori energie supplementari. Il discorso, così, sfiora anche la questione relativa alle Falkland – anzi, Malvinas – e la guerra angloargentina risalente a quattro anni prima, in cui persero la vita oltre novecento uomini.

Diego non lo dice, forse non ci pensa: si trova nel luogo in cui, quattro Mondiali prima – gran cosa, misurare il trascorrere del tempo in base al rotolare della sfera di cuoio – si è giocato el partido del siglo, la partita del secolo, Italia-Germania 4-3. Il fato, pesantemente influenzato dalla maestosa onnipotenza calcistica del «10» albiceleste, farà sì che lo stesso luogo – al cinquantaquattresimo minuto – possa gioire per un altro, storico avvenimento calcistico avvenuto sul proprio rettangolo verde: Maradona riceve il pallone, nella sua metà campo, da Héctor Enrique. Poi, ne dribbla sei – Hoddle, Reid, Sansom, Butcher, Fenwick e Shilton, il portiere – prima di gonfiare la rete: gol del siglo. Il già citato Víctor Hugo Morales si produce in un commento da pelle d’oca, rimasto negli annali del giornalismo, sportivo e non.

Ma l’apogeo emozionale dell’incontro non coincide con la concretizzazione della più celebre delle utopie dribblatorie maradoniane, bensì col monumento alla furbizia scalpellato da Diego una manciata di minuti prima.

La vittoria, l’esultanza, la leggenda


Con il secondo tempo incominciato da poco, e il persistente zero a zero, l’uomo col dieci sulle spalle decide ch’è giunto il momento di far gioire il popolo argentino. L’idea originale, è quella d’incollarsi la palla al piede e, magari con la collaborazione di un compatriota, castigare Peter Shilton (all’epoca non ancora il giocatore con più presenze, 1390, nella storia del calcio). Peccato che Steve Hodge, sgraziatamente, alzi un campanile improponibile per i 165 centimetri di Maradona. E lì interviene il genio: per anticipare il portiere inglese, decisamente alto, Diego decide arbitrariamente che se le mani può usarle quello coi guantoni, allora può farlo anche lui. Eccolo quindi prodursi nell’epocale furbata, immortalato dal celeberrimo scatto di Alejandro Ojeda Carbajal, fotero di El Heraldo, giornale messicano.

Poi, l’esultanza. I compagni impietriti, esterrefatti, increduli: lui li incita. Sa bene che quell’esitazione potrebbe costargli carissimo: ma Ali Bin Nasser, fischietto tunisino, ed il cinquantenne guardalinee bulgaro Bogdan Dočev, ci cascano e convalidano la marcatura. La mano de Dios. Anzi, la mano de D10s.


http://www.storiedisport.it/?p=7822


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MessaggioInviato: mar 30 lug 2013, 14:07 
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Buon pezzo , credo che Hoddle non sia stato dribblato nel gol del secolo , credo che fosse Peter Beardsley e non Hoddle , mentre non mi pare ci fosse Sansom.
Diego era alto 168 cm e non 165 cm.( wikipedia e' sbagliata ).
Va inoltre documentata con incontrovertibili fatti anedottici l'origine divina di Diego , che vede l'empirismo in cio' a cominciare dalla sua nascita allorche' una stella di luce apparve a mamma Tota .
Questi sono fatti anedottici ed empirici , nessun altro calciatore ha avuto una nascita divina cosi manifestabile ai sensi umani , Messi non ha avuto questa origine divina , la sua origine sono iniziezioni di Gh.


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MessaggioInviato: mar 30 lug 2013, 14:20 
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Diego nasce di domenica.
Piccolo e nero come un tizzone, con tanti capelli in testa. Un neonato irrequieto, quinto di una famiglia numerosissima. Era il 30 ottobre 1960 quando a Lanus nasceva un bimbo che sarebbe diventato il più grande giocatore di calcio di tutti i tempi, Diego Armando Maradona. Il nome Diego gli fu dato perché così si chiamava il padre e perché era il primogenito, mentre a mamma Dalma piaceva molto Armando. Un ragazzino predestinato, dal talento calcistico inimmaginabile. Dalma, che per tutti poi è diventata "Mamma Tota", ricorda alcuni particolari di quel giorno che sembrano stati creati apposta per ingigantire la leggenda di Maradona: quell'enorme stella disegnata in un pavimento a mosaico all'entrata dell'ospedale prima del parto,che diede tanto coraggio a Dalma, e quel giorno che era inevitabilmente domenica, quando il calcio in Argentina e nel mondo diventa protagonista assoluto. Ed ancora, tutti quei calci assestati nella pancia di "Mamma Tota" poco prima della nascita. Era già allora la sua unica grande passione, tirare calci a un pallone. La passione per il calcio regna sovrana e brucia nell'animo di tutti i Maradona. E quando il piccolo Diego Armando fa il suo primo incontro con un palla,regalatagli dal cugino Zarate, è un momento storico.
Quel ragazzino piccolo e nero, che fin da piccolo era chiamato "Pelusa" se ne innamora subito, ci gioca dovunque,la porta con se anche a letto.

http://web.tiscali.it/gerro/Maradona.htm


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MessaggioInviato: gio 1 ago 2013, 17:02 
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Io alla telecronaca di Hugo Morales preferisco quella di Jose' Maria Munoz.

Qui la sua telecronaca in diretta alla tv argentina , prima narra il gol di mano in cui mantiene un certo aplomb e poi il gol del siglo in cui esplode totalmente , quei 3 Golllllllllllllllllllllllllllllllllll urlati di seguito con tutte le viscere trogloditesche mettono i brividi , si sentono anche le urla sgomenti del pubblico.






a voi .


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MessaggioInviato: gio 1 ago 2013, 17:11 
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ed in questo bellissimo video con un misto delle due telecronache Diego racconta il gol del siglo.





Messi who ?.


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MessaggioInviato: mar 18 feb 2020, 21:20 
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Ecco come l'incorreggibile Gianni Brera commentò “La Mano de Dios” sul Guerin Sportivo n° 32 dell'agosto 1986... :asd

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