Azzurro tenebraUn maledetto imbroglio. O almeno una storia molto, ma molto complicata. Il rapporto di Gianluca Vialli con la Nazionale è quello di un campione sempre atteso alla definitiva consacrazione, di un trascinatore che del gruppo riesce anche a diventare leader, ma senza mai raggiungere lo zenit, costretto a contenere quell'esplosione di gioia che in azzurro gli è mancata fino all'ultima occasione. Un rapporto venato anche di incomprensioni, di polemiche più o meno velate, di rinunce grandi e magari impopolari, sempre e comunque sofferte.La prima volta di Gianluca in azzurro risale al 16 novembre dell'85. A Chorzow si gioca un'amichevole con la Polonia, lui è il talento emergente della Samp ed Enzo Bearzot, che sta costruendo l'ossatura della squadra che darà l'assalto al Mondiale messicano per difendere il titolo conquistato in Spagna, ne tiene conto. Dodici minuti per prendere confidenza con la maglia azzurra. Non bastano per raddrizzare una partita persa (0-1) ma nessuno ha pretese del genere.
In Messico Vialli c'è, anche se ci arriva con quattro presenze alle spalle. Cerca una consacrazione, trova scampoli di partita: venticinque minuti contro la Bulgaria, altrettanti contro l'Argentina, poco più di tre con la Corea del Sud. Negli ottavi di finale, contro la Francia, Bearzot lo butta in campo un attimo dopo il raddoppio di Stopyra. La partita è compromessa, la spedizione messicana anche.
Non per colpa di Vialli, che infatti dalla prima amichevole del dopo-Mondiale gioca a tempo pieno.
Non c'è più Bearzot, che paga la caduta, sostituito al timone da Azeglio Vicini. Il 24 gennaio dell'87, contro Malta a Bergamo, Gianluca segna anche la sua prima rete azzurra.
Nella Nazionale di Vicini, il bomber sampdoriano si ritaglia uno spazio importante. Sono i suoi gol a spianare la strada all'Italia verso la fase finale dell'Europeo. Reti decisive contro la Svezia (prima doppietta), e il Portogallo.
La spedizione in Germania si blocca contro il muro dell'Urss, in semifinale.
Fin lì, Mancini e Vialli avevano ricostruito la società del gol che in campionato aveva riportato la Samp sui grandi palcoscenici del calcio. E il Principe Giannini li aveva illuminati dalla regìa. Fino all'uno-due di Litovchenko e Protasov, appunto. Obiettivo mancato, meglio concentrarsi sul mondiale «made in Italy».All'appuntamento con Italia '90 la Nazionale arriva dopo una serie infinita di amichevoli. Compresa quella per il novantesimo anniversario della Figc, un successo sull'Olanda all'Olimpico illuminato da un gran gol di Vialli.
È lui il vero trascinatore del gruppo che si avvicina quasi senza sconfitte (soltanto due, dagli Europei, contro Romania e Brasile) all'avventura mondiale.
Indossa anche la fascia di capitano, il 26 aprile dell'89 a Taranto, contro l'Ungheria. E la festeggia aprendo le marcature di una partita felice, terminata 4-0. Insomma, tutto fa pensare che Italia '90 sia la grande occasione mondiale di Gianluca Vialli. E lui è pronto, deciso a confermare le attese.
Ma all'improvviso si accende un'altra luce. Quella di Totò Schillaci, che alla partita d'esordio contro l'Austria entra al 75' per Carnevale e segna dopo quattro minuti, dando la A vittoria agli azzurri. La magìa si ripete contro la Cecoslovacchia, quando Vialli, che si è mostrato giù di condizione, non entra neppure in campo. Ci tornerà a Napoli, nella semifinale stregata contro l'Argentina, senza lasciare il segno.
E sarà ancora a guardare durante la finale per il terzo posto. Schillaci, ispiratissimo, si siederà sul trono della classifica marcatori del torneo. E' nata una stella, titolano i giornali. E Vialli è in disparte, in un angolo. Doveva essere il suo momento, l'occasione è sfumata. Lui ne soffre, e si allontana dall'ambiente azzurro. Reagisce in campionato, trascinando a suon di gol (diciannove) la Samp al suo storico scudetto. E riconquista il posto dieci mesi dopo quella semifinale con l'Argentina. Nessuna polemica con Vicini, che del resto su di lui aveva puntato, prima dell'esplosione della bomba Schillaci. Ma più tardi chioserà quell'esperienza con parole di fuoco.
«La realtà è che in quel Mondiale non avevamo un gioco. L'Argentina ci battè ai rigori, ma ci aveva surclassato sul piano tattico per tutta la partita».Mondiali 90: Vialli lascia sconsolato il campoÈ ancora nel gruppo quando Vicini saluta, dopo il pareggio di Mosca (0-0) del 12 ottobre '91, che butta l'Italia fuori dalla corsa agli Europei. E c'è un mese dopo, il 13 novembre nella "sua" Genova, al primo atto ufficiale di Arrigo Sacchi, quando non si va oltre il pari con la Norvegia (1-1). Partita inutile, perché ormai il destino europeo è segnato. Sacchi ha un'altra missione da compiere, e lo dice apertamente: l'obiettivo sono i Mondiali del '94. Tra lui e Vialli c'è stima reciproca.
«Lo volevo al Milan, l'avevo chiesto a Berlusconi», rivela il Ct. Ma l'amore dura un solo anno: sei partite (Norvegia, Cipro, Portogallo, Svizzera, Olanda, Malta) e due spezzoni (Eire e Usa). Il rapporto si interrompe a La Valletta, il 19 dicembre del '92, quando Vialli segna il primo gol di uno striminzito successo (2-1) su Malta. Da quel momento, Sacchi punta deciso su Casiraghi.
Scelta tecnica? A prima vista sì. Ma in realtà c'è una sensazione di fastidio reciproco. Si scopre che Vialli si lamentava per certe osservazioni del Ct, per le regole monastiche a cui costringe il gruppo. Orari, osservazioni per chi appoggia i gomiti sul tavolo a pranzo, e via così. Sacchi non gradiva, ecco tutto.
Si inserisce Matarrese, presidente della Federcalcio, l'uomo che ha scelto il timoniere. «Per Zenga e Vialli la Nazionale è un discorso finito». Il primo atto del dopo Nazionale lo vince l'Arrigo. Si qualifica per i Mondiali, arriva in finale a Usa '94 giocando la carta Massaro. Perde ai rigori, è vero, ma intanto circolano voci su una dichiarazione di Vialli («La finale? Ho tifato per il Brasile»), poi smentita. Gioco facile, parlare di Vialli l'Antitaliano.Ma Gianluca è abituato alle rinascite. Come dopo Italia '90, nella stagione '94-95 il giocatore "finito" vince lo scudetto con la Juventus di Lippi.
E torna nel mirino di Sacchi. Nonostante certe dichiarazioni tutt'altro che concilianti nei confronti dei padroni del vapore azzurro. «Non vedo l'attaccamento alla Nazionale che c'era ai tempi di Bearzot e Vicini. Credo che Matarrese e Sacchi non siano troppo simpatici alla gente». E ancora. «Io sono per un calcio meno cerebrale, un pò più spensierato. Forse è l'opposto di quel che predica Sacchi». Altro siluro a Matarrese, datato marzo '95: «Deve capire che non è il Papa».
Si tenta il riaggancio, comunque. E il presidente federale lo fa cadere dall'alto, naturalmente: «Chi si ravvede sarà ben accetto. Per questo non escludo nulla, neppure un ritorno di Vialli». Sacchi, invece, fa autogol: «Ho parlato con i giocatori. Fino a cinque mesi fa, c'era un'opposizione al ritorno di Vialli in Nazionale. Adesso le cose sono cambiate». Siamo all'estate del '95. Settembre, precisamente. È l'ultimo atto. La parabola del figliol prodigo non trova il lieto fine. Perché il figliol prodigo non ci sta.
«Non avrei mai immaginato che le convocazioni azzurre potessero essere decise col benestare dei giocatori. Comunque, non sopporterei l'idea di trovarmi davanti colleghi che non mi volevano nel gruppo. Non posso passarci sopra, non posso restare freddo davanti a certe cose, perché sono uno che ci mette il cuore. Ho bisogno di essere tranquillo, felice, sereno. Scusate, questa è stata una telenovela e sembrava infinita. A questo punto è finita davvero, con buona pace di tutti». Chiuso, davvero. Cinquantanove presenze e sedici reti in Nazionale, per dirla con i numeri. «Non è poco. Ho lasciato il segno, e mi basta». Parola di Vialli, parola che non torna indietro.
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