1) OLANDA (1974): l’Arancia Meccanica, simbolo di un calcio utopico, apparentemente impossibile e che invece è diventato realtà. Un voetbal futuristico, fatto di velocità vertiginosa, fisicità alla massima potenza, con undici giocatori che sono in grado di coprire qualsiasi ruolo muovendosi in lungo e in largo sul campo di gioco e che vanno a comporre una vera e propria sinfonia calcistica. Un paese che fino a pochi anni prima nemmeno sapeva cosa fosse un pallone da calcio nel giro di pochi anni, grazie ad un’idea, una pura e semplice idea astratta, arriva a dominare il mondo, o meglio quasi, visto che in finale il meccanismo perfetto s’inceppa contro la più forte Germania di sempre. Vogts mette la museruola a sua maestà Crujff (il più forte giocatore europeo di sempre), finisce l’utopia, ma il mondo calcistico non sarà più lo stesso!
2) UNGHERIA (1954): l’Aranycsapat, la squadra d’oro, il più grande prodotto calcistico partorito dall’immensa scuola danubiana, ha il torto di essere troppo stagionata e poco telegenica. Quella squadra rivoluzionò totalmente la concezione dei ruoli: per la prima volta un terzino poteva fare l’ala, un centravanti (Hidegkuti) la mezzapunta, un mediano il difensore (prima di allora non era così). Il 4-2-4, la zona, nacquero da quella straordinaria miscela di campioni (Puskas, Boszik, Grosics, Czibor, Hidekguti, Kocsis) e di gioco. Purtroppo quella straordinaria squadra andò a infrangersi nel fango di Berna contro una Germania mediocre (di quella squadra salverei solo Fritz Walter) ma dopata e decisa a risollevare con le buone o con le brutte un paese che suciva dalla più cocente disfatta che la storia abbia ma conosciuto.
3) BRASILE (1958-62): una delle poche certezze in una storia nazionale calcistica piena di contraddizioni. Quel Brasile era fortissimo, quasi imbattibile, una collezione sterminata di figurine (Gilmar, Djalma e Nilton Santos, Didi, Vavà, Garrincha, Pelè, il sottovalutato Amarildo) ben inserita in un meccanismo funzionale e allo stesso tempo coerente, un 4-2-4 di chiara ispirazione magiara e adattato ai ritmi e ai crismi del calcio bailado. Fu grazie a quel Brasile che si diffuse definitivamente la zona in tutto il mondo.
4) ITALIA (1978-82): la squadra di calcio per antonomasia, un mix perfetto di classe (Antognoni, l’immenso Conti, Cabrini, Rossi, Scirea, Bettega) e di gregari (Graziani, Oriali, Tardelli, Gentile), secondo l’ideologia di un CT intelligente e pragmatico come pochi, capace di difendere il suo gruppo contro tutto e tutti. La vittoria di quel Mundial fu in un certo senso la fine degli anni di piombo e la definitiva consacrazione del calcio all’Italiana inteso come forte difesa, centrocampo concreto e attacco rapido e tecnico, che successivamente verrà imitato (con risultati non sempre apprezzabili) anche da altre nazionali (Argentina e Germania su tutte).
5) GERMANIA (1974): la più forte Mannschaft della storia, interamente forgiata nell’acciaio inossidabile del più forte Bayern della storia. Una squadra concreta, guidata dal più grande libero della storia, l’immenso kaiser Franz Beckembauer e che annoverava giocatori di grande rendimento e sostanza come il amstino Vogts o il regista Overath, In attacco, il cicciottello Gerd Muller, il più forte centravanti d’area della storia, faceva reparto da solo, bastava buttargli la palla e lui la spediva in gol con una facilità disarmante.
6) BRASILE (1970) formazione leggermente sopravvalutata, ma comunque leggendaria perché vide protagonista un Pelé sontuoso, quasi divino. L’attacco di quella squadra era di prim’ordine (Pelè, Rivelino, Tostao, Gerson), un po’ meno la difesa dove il solo Carlos Alberto era di livello mondiale. Il clima torrido e l’altura facilitò non poco il gioco paludato e tecnico dei verdeoro, c’è da dire che l’Italia giunse in finale per grazia divina e fu giustamente umiliata e sconfitta.
7) URUGUAY (1950): forse la più sottovalutata formazione vincitrice di un mondiale, una squadra di guerrieri indomabili, capitanata dal centromediano Obudlio Varela e guidata in campo da Juan Alberto Schiaffino, uno dei più grandi registi di sempre. Il gioco della squadra di Lopez era semplice ma terribilmente pratico: lenti passaggi a centrocampo e rapide verticalizzazioni verso l’ala destra Ghiggia pronta a scattare in contropiede. Fu così che fu infilzato un presuntuosissimo Brasile e fu così che gli uruguagi causarono una delle più grandi tragedie sportive che si ricordi.
8) BRASILE (1982): dopo l’Olanda la più grande utopia calcistica partorita dal sistema calcio, una nazionale di talenti sopraffini (Junior, Zico, Socrates, Cerezo) tutti schierati in campo senza compiti tattici o ostruzionistici, con un unico compito, quello di divertire vincendo. Una formazione che in realtà aveva pesanti alcune: centrocampo da favola ma come contraltare attacchi, difese (incluso portiere) assolutamente mediocri. Ci pensò la più forte Italia di tutti i tempi a sgonfiare questa poderosa macchina calcistica che, chissà, magari a mondiale vinto, avrebbe potuto cambiare la storia come l’Arancia Meccanica.
9) ITALIA (1934-38): ha il torto di essere associata a lregime di Mussolini, ma quella era una nazionale straordinaria. Meazza, il più grande genio calcistico italiano, Piola, il più grande cannoniere, Ferrari, il più grande regista, i cazzuti centromediani Monti e Andreolo, le ficcanti ali Orsi, Biavati e Guaita. Il gioco di quell’Italia era semplice ma terribilmente pratico: attendere l’avversario e poi al momento giusto preciso lancio del centrosostegno verso le estreme. Pesa nel giudizio i presunti maneggi a Italia 1934 e l’assenza di avversari come l’Inghilterra, l’Uruguay o l’Argentina (che si vedeva scippata dagli oriundi). Fu grazie a quella nazionale che nacque la scuola calcistica italiana, fondata sulla forte difesa e su ficcanti contropiedi.
10) AUSTRIA (1934): il Wunderteam, la prima espressione, la più primordiale e primitiva, del calcio totale: difesa a zona, possesso palla, attacco degli spazi, copertura razionale degli stessi, interscambio di ruoli che quasi seguono una sinfonia musicale, forse ha il torto di essere stata troppo antica e di avere avuto tra le sue fila campioni poco conosciuti ai più. L’importanza di Mesil per lo sviluppo del calcio sarà però capitale.
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