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Pulcino
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Fa sorridere quella foto, che è una delle più famose di lui, perchè per pensare che in un fisico del genere risiedesse tanto talento bisogna davvero sforzarsi non poco, eppure era così. Dietro quell'aspetto da Sergente Garcìa, c'erano il genio e i piedi di uno dei massimi campioni di questo sport.

Che poi ovviamente la mole non è sempre stata quella, però quella foto, essendo presa da un famoso scatto con gli altri membri de "La Maquina" è piuttosto comune.


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MessaggioInviato: ven 30 dic 2011, 18:26 
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Mad ha scritto:
Fa sorridere quella foto, che è una delle più famose di lui, perchè per pensare che in un fisico del genere risiedesse tanto talento bisogna davvero sforzarsi non poco, eppure era così. Dietro quell'aspetto da Sergente Garcìa, c'erano il genio e i piedi di uno dei massimi campioni di questo sport.

Che poi ovviamente la mole non è sempre stata quella, però quella foto, essendo presa da un famoso scatto con gli altri membri de "La Maquina" è piuttosto comune.


Grande Mad, non so come la pensi tu, ma io ritengo Moreno uno dei primi 6/7 giocatori sudamericani all-time. L'ho visto in qualche video e ho raccolto alcuni racconti di giornalisti di quegli annii: un fenomeno. Un vero peccato che non abbia mai potuto giocare un Mondiale.

_________________
«...ricorda che se anche i nostri dirigenti ci danno per spacciati e dicono che sarebbero contenti anche se perdessimo 4-0, a me non interessa. Io oggi scendo in campo per vincere e voglio che quelli che scendono con me oggi abbiano lo stesso obiettivo. Se vedo qualcuno che non combatte questa battaglia, alla fine della partita dovrà vedersela con me. Fatti forza Ruben, quei duecentomila là fuori non giocano, guardano solamente».

Il capitano Obdulio Varela al giovane Ruben Moran prima della finale del Mondiale 50, Brasile 1 Uruguay 2


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MessaggioInviato: lun 2 gen 2012, 4:19 
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Pulcino
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Sì, direi che più o meno è in quel range anche per me :)


Allora, allora: un attaccante, un attaccante, un centrocampista/attaccante, che dite, parliamo di un difensore? Sì, perchè poi è estremamente vero che quelli che più di tutti rimangono impressi nella memoria sono quelli che la palla la buttano dentro, però hanno e hanno avuto un ruolo fondamentale anche quelli che i gol cercano di non farli prendere.

Ora, per quei pochi che hanno la voglia di leggere le due righe che scrivo, magari v'immaginerete che io stia per parlare di un roccioso difensore tedesco, di qualche vecchia volpe italiana o al limite di uno dei tanti glaciali armadi dell'est o del nord Europa (no, non parlo di quelli dell'Ikea) che saltuariamente sbucavano nelle maggiori competizioni internazionali. Ebbene no, sto per parlare di un sudamericano, e neanche di un uruguayano (la Celeste è famosa per la sua tradizione difensiva quindi un difensore di livello d'altri tempi avrei potuto prenderlo lì), ma di un brasiliano. Sì, per questa volta Brasile non sarà sinonimo di fase offensiva, dribbling al ritmo di samba e reti a profusione, in questo caso Brasile sarà la patria di uno dei più grandi centrali difensivi che il Sudamerica abbia mai visto, sicuramente il più grande fra quelli verdeoro, a detta di chi sa di cosa sta parlando.

Quando ci si cimenta nei giochini (totalmente opinabili, per carità) in cui si piazzano in campo gli ipotetici 11 migliori giocatori di una nazione, parlando del Brasile si potrà discutere se preferire Zico o Zizinho, Romario o Ronaldo, Djalma Santos o Carlos Alberto, ma al centro della difesa, se si vuol dar retta alla storia, uno che non deve mancare mai di certo è lui: Domingos da Guia.

Questo è un nome che qui sul forum qualche volta è sbucato, almeno, io qualche volta l'ho letto qua e là, quindi magari è meno sconosciuto di un Bloomer o di un Erico, già citati, però di certo, come quasi tutti i pre-anni '50, il suo nome non è che aleggi proprio nella mente di chiunque.

Secondo gli storici, in particolar modo quelli brasiliani, Domingos da Guia è nettamente di un altro livello rispetto ai compagni di reparto verdeoro che sono comparsi fino ad ora. Dietro di lui abbiamo gente di tutto rispetto come Luis Pereira, Aldair, Bellini, Lucio o Mauro Ramos, per carità, ma, per chi l'ha visto, lui era di più, lui era "el Divino Maestro", il Divino Maestro.

Ora, per accalappiarsi un soprannome del genere un difensore qualcosa di buono avrà pur dovuto farla no? e per accalappiarselo in un paese tradizionalmente ostile al Brasile ancora di più, giusto? Ma ci arriviamo, con calma...

Domingos Antônio da Guia nasce nel 1912 e vive a lungo, molto a lungo, tanto che verrà a mancare nel 2000 ad un'età di tutto rispetto.

Lavora per qualche tempo in una fabbrica tessile di Rio, poi, calcisticamente parlando diversamente da tanti brasiliani lui gira, non resta nel suo paese, dopo i primi anni nel Bangu di Rio de Janeiro (dove giocava il fratello Ladislau, maggiore bomber della storia del club), Domingos vola in Uruguay a giocare per il Nacional di Montevideo, col quale vince il campionato uruguagio 1933 e forma una coppia da sogno con la leggenda della Celeste José Nasazzi.

A Montevideo è già una superstar, desiderata e famosa, di lui si dice che "disarma l'avversario senza violenza e riparte all'attacco con classe, venite a vedere Domingos!". Gli chiedono di naturalizzarsi uruguayano, ma lui rifiuta. Un solo anno qui, ed un solo anno poi nel Vasco da Gama, abbastanza però per vincere il campionato carioca 1934.

Da qui il trasferimento al Boca Juniors, in Argentina, due stagioni nelle quali riesce ad aggiudicarsi il campionato del '35. Ottime sono le sue prestazioni con gli Xeneises, e tornato in patria dimostra il suo valore nel Flamengo, la formazione con la quale farà rilevare più presenze, ben 230 fra il '37 e il '43, e tre campionati carioca portati a casa: '39, '42 e '43.

Sale alla ribalta mondiale nel 1938, ai Campionati del Mondo di Francia, ai quali arriva come "difensore più completo del Pianeta", protagonista del Brasile che punta a vincere il torneo e che pecca di presunzione affrontando l'Italia, in semifinale, senza il proprio fenomeno Leonidas (per altro compagno di da Guia nel Flamengo), tenuto a riposare per la finale (per la quale avevano già acquistato i biglietti dell'aereo). Alla fine sarà terzo posto per i verdeoro. Col Brasile anche due secondi e un terzo posto in Coppa America, oltre che due Coppe Rìo Branco (coppa esclusiva per la vincitrice della partita Brasile - Uruguay) e una Coppa Roca (come la precedente, ma qui la partita è con l'Argentina).

Dopo il Flamengo il Corinthians fino al '47, e quindi il ritorno al Bangu per gli ultimi scampoli di carriera. Il rapporto col Bangu è stretto, tanto che il nome di Domingos sarà citato anche nell'inno del club, e che suo figlio, Ademir da Guia, anch'egli importante calciatore della Nazionale verdeoro e del Palmeiras, ha iniziò a giocare proprio nel club di Rio de Janeiro.

La figura di Domingos da Guia fu importante anche per l'integrazione dei giocatori neri nel campionato e nella Nazionale brasiliana, già da tempo erano presenti giocatori neri nelle varie formazioni del paese, ma la comparsa di un personaggio così importante e forte, favorì l'accettazione da parte della gente per quelli che, invece, venivano normalmente maltrattati per il colore della propra pelle. Ricordo che in Brasile, nelle prime rose della Seleçao, non erano "permessi" giocatori non bianchi, tanto che un fenomeno come Friedenreich (che comunque aveva una carnagione già più chiara rispetto a Domingos) si doveva truccare per poter giocare.

Tecnicamente il ruolo di da Guia non si limitava al fermare l'offensiva dell'altra squadra, era noto per i suoi dribbling sugli avversari, specie gli attaccanti, per la sua buona tecnica e il controllo di palla, nonostante fosse un difensore ed anche un discreto armadio per il tempo (185 cm x 79 Kg). E' ricordato come "difensore di classe", mai violento, ma dotato di talento, tempismo e abilità. Da qui il "Divino Maestro", anche se altri soprannomi furono "la Statua d'Ebano", "la Muraglia" e "la Fortezza".

E' stato innovativo nel suo ruolo, fino a quel tempo solitamente, e salvo eccezioni, il difensore che recuperava palla la sparacchiava il più lontano possibile, sperando di farla finire addosso ad un compagno, meglio se il più lontano dalla propria porta, Domingos invece la palla la teneva con sé, non gli "bruciava" tra i piedi, e nonostante questo era anche un buon marcatore, ruvido quanto e quando serviva. Da lui il termine "domingada" che sta ad indicare l'uscita lenta, palla al piede, di un difensore che si prende il proprio tempo per giocare il pallone e far salire la squadra. A tal proposito c'è da dire che non era proprio un fulmine in velocità, anzi.

Obdulio Varela, capitano dell'Uruguay Campione del Mondo nel 1950, dice di da Guia ad un giornalista brasiliano: "il migliore che voi abbiate mai avuto è stato Domingos, completo, campione là (in Brasile), qui (in Uruguay) e in Argentina". Ed, in effetti, ha vinto praticamente ovunque sia stato.


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Interessante articolo mad: complimenti. Grande giocatore, un mito in patria.

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Il mio sito Definitivo sui giocatori passati.
http://www.classicfootballdb.com

Aggiornato costantemente, avrete la possibilità di consultare le skill di giocatori famosi, possibilità di ricerche avanzate di ogni genere, confronti, etc.


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Grande Mad...un ottimo articolo su un grandissimo campione...il modo migliore per far capire quanto è importante la storia, anche a chi la storia la sottovaluta...

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«...ricorda che se anche i nostri dirigenti ci danno per spacciati e dicono che sarebbero contenti anche se perdessimo 4-0, a me non interessa. Io oggi scendo in campo per vincere e voglio che quelli che scendono con me oggi abbiano lo stesso obiettivo. Se vedo qualcuno che non combatte questa battaglia, alla fine della partita dovrà vedersela con me. Fatti forza Ruben, quei duecentomila là fuori non giocano, guardano solamente».

Il capitano Obdulio Varela al giovane Ruben Moran prima della finale del Mondiale 50, Brasile 1 Uruguay 2


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Sto leggendo qualche articolo sul River Plate degli anni 40 e ho letto che i 5 componenti originali della Maquina ovvero Munoz, Moreno, Pedernera, Loustau e Labruna hanno giocato assieme solo 18 partite, da ignorante in materia mi chiedo: se questi 5 fenomeni hanno giocato solo 18 partite assieme (ammesso che l articolo sia corretto) come mai tutta quest aura leggendaria attorno a questa squadra? anche se c è da dire che il loro calcio totale anticipò di 30 anni quello olandese.


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Perchè un'organizzazione di gioco tale era qualcosa che non poteva passare inosservata, si parla spesso de La Máquina e si pensa ai cinque da te citati, ma non c'erano solo loro, e soprattutto, non erano loro La Máquina. Quei cinque erano sicuramente i membri più rappresentavi e più determinanti di quella squadra, ma erano la prima linea, i giocatori d'attacco. Il termine "Máquina" fu utilizzato per descrivere i movimenti e le sensazioni che donava l'intera squadra del River.

Quella formazione giocò prima a due in difesa, successivamente a tre, in entrambi i casi una delle cose di cui si sa meno quando si parla della Máquina, facendo l'errore di pensare solo agli attaccanti, è che uno degli aspetti più sottovalutati di quella squadra era proprio la difesa, non prendevano molti gol. Giocatori come Vaghi, Wergifker, Ramos, Luis Ferreyra, Eduardo Rodríguez e Norberto Yácono, forse non hanno la stessa risonanza di Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau (a parte l'ultimo, se proprio vogliamo), però hanno anche loro, più silenziosamente, contribuito a rendere grande quel sistema di gioco che dava tanto l'impressione di essere una macchina, precisa e programmata, con i giocatori sempre in movimento, tanto da essere definita numericamente un "1-10".

Poi è indubbio che, sentendo parlare de La Máquina, i nomi che escono fuori siano quelli dei cinque del reparto offensivo, ma è un po' come quando si parla dei "Galacticos", i membri di spicco di quel Real erano tanti, ma difficilmente giocavano tutti, e di certo non in tutte le partite. La formazione base del River prevedeva quel quintetto lì davanti, poi per un motivo o per un altro, purtroppo, assieme ne hanno giocate solo diciotto, pensa che contro il Boca tutti e cinque assieme non ci hanno nemmeno mai giocato.

E' come se nella stessa squadra venissero a giocare, oggi, Messi e C.Ronaldo (Moreno e Pedernera, non per i ruoli, ma per la rilevanza mondiale), oltre ad un bomber epocale tipo Eto'o (Labruna) e due, comunque ottime, ali, chessò, Robben e Ribery (Loustau e Muñoz). Poi magari durante le stagioni assieme, infortuni vari, squalifiche, incomprensioni con gli allenatori, tutti e cinque nello stesso momento giocano poche partite, ma di certo quel quintetto un soprannome se lo prenderebbe a prescindere.

Spero di esser stato, un minimo, utile a capire :)


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Gradirei qualche approfondimento su un grandissimo bomber come Franz "Bimbo" Binder, bomber di quel Rapid Vienna che riuscì a vincere un campionato tedesco ai tempi dell'Anschluss(mi pare nel 1941), se possibile.

Grazie. :-)

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Mad ha scritto:
Perchè un'organizzazione di gioco tale era qualcosa che non poteva passare inosservata, si parla spesso de La Máquina e si pensa ai cinque da te citati, ma non c'erano solo loro, e soprattutto, non erano loro La Máquina. Quei cinque erano sicuramente i membri più rappresentavi e più determinanti di quella squadra, ma erano la prima linea, i giocatori d'attacco. Il termine "Máquina" fu utilizzato per descrivere i movimenti e le sensazioni che donava l'intera squadra del River.

Quella formazione giocò prima a due in difesa, successivamente a tre, in entrambi i casi una delle cose di cui si sa meno quando si parla della Máquina, facendo l'errore di pensare solo agli attaccanti, è che uno degli aspetti più sottovalutati di quella squadra era proprio la difesa, non prendevano molti gol. Giocatori come Vaghi, Wergifker, Ramos, Luis Ferreyra, Eduardo Rodríguez e Norberto Yácono, forse non hanno la stessa risonanza di Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau (a parte l'ultimo, se proprio vogliamo), però hanno anche loro, più silenziosamente, contribuito a rendere grande quel sistema di gioco che dava tanto l'impressione di essere una macchina, precisa e programmata, con i giocatori sempre in movimento, tanto da essere definita numericamente un "1-10".

Poi è indubbio che, sentendo parlare de La Máquina, i nomi che escono fuori siano quelli dei cinque del reparto offensivo, ma è un po' come quando si parla dei "Galacticos", i membri di spicco di quel Real erano tanti, ma difficilmente giocavano tutti, e di certo non in tutte le partite. La formazione base del River prevedeva quel quintetto lì davanti, poi per un motivo o per un altro, purtroppo, assieme ne hanno giocate solo diciotto, pensa che contro il Boca tutti e cinque assieme non ci hanno nemmeno mai giocato.

E' come se nella stessa squadra venissero a giocare, oggi, Messi e C.Ronaldo (Moreno e Pedernera, non per i ruoli, ma per la rilevanza mondiale), oltre ad un bomber epocale tipo Eto'o (Labruna) e due, comunque ottime, ali, chessò, Robben e Ribery (Loustau e Muñoz). Poi magari durante le stagioni assieme, infortuni vari, squalifiche, incomprensioni con gli allenatori, tutti e cinque nello stesso momento giocano poche partite, ma di certo quel quintetto un soprannome se lo prenderebbe a prescindere.

Spero di esser stato, un minimo, utile a capire :)
grazie, perfetto come al solito :-) in effetti non essendomi mai informato più di tanto sul calcio di quelle epoche avevo fatto l errore di pensare grande River Plate = i 5 là davanti che massacravano tutto e tutti, sottovalutando il resto della squadra, quindi ero rimasto basito nel leggere che effettivamente quei 5 ne avevano giocate solo 18 insieme :grin


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MessaggioInviato: gio 5 gen 2012, 23:30 
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Reg. il: dom 10 apr 2005
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Ho letto solo ora Doni, la tua richiesta sulla Maquina. Sarà che sono rimasto intrappolato nella querelle sui due innominabil argentini Anni 80 e Anni 10 (2010) e non avevo fatto caso al tuo post :asd

E' vero, i componenti offensivi della Maquina giocarono appena 18 partite insieme, ma sono entrati ugualmente nella leggenda per la qualità assoluta del loro gioco e per le grandi innovazioni che tutta la squadra portò sul piano tattico.
Come ha fatto notare anche Mad, la forza della squadra nasceva dalla difesa. In quegli anni, in Argentina si comincia ad applicare una difesa a zona. Ma vediamo come ci si arriva.

L'Europa in quegli anni è impregnata oramai della lezione sistemista, che prevede una difesa a uomo: i due terzini, ai lati del centromediano, marcano le ali; il centromediano tiene d'occhio il centravanti; i due mediani marcano le mezzali. In pratica, è una struttura a specchio: tutti marcano tutti. Sappiamo bene che i sudamericani hanno sempre avuto una certa allergia per la marcatura a uomo, cosicché alcuni allenatori, in Brasile e in Argentina, tentano di fondere insieme la difesa del Sistema con quella del vecchio Metodo (in uso anche in Sudamerica e che prevedeva i due terzini davanti al portiere, liberi da compiti di marcatura; e davanti a loro, il centromediano sul centravanti e i due mediani - allargati - sulle ali).

Prima tappa il Brasile. La disposizione scelta è quella sistemista, dunque, davanti al portiere, un 3-2 in linea. Ora, a marcare il centravanti avversario in posizione centrale non è più il centromediano (n.5), ma il terzino sinistro (n.3); il terzino destro (n.2) resta al suo posto e tiene d'occhio quindi l'ala sinistra avversaria, come nel Sistema. A sinistra, la marcatura dell'ala destra è compito del mediano sistemista di sinistra (n.6): in pratica assolve i compiti del vecchio mediano metodista, che marcava, come scritto poche righe fa, l'ala destra. Restano il mediano destro (n.4) e il centromediano (n.5). Bene, il mediano destro (n.4) resta nella sua posizione e marca la mezzala, quindi con un compito sistemista, mentre il centromediano (n.5) sale dalla terza linea com'era nel Sistema e va occupare la posizione al fianco del mediano destro, quindi torna ad essere un centromediano metodista e con lo stesso compito che aveva quest'ultimo, ossia primo regista del gioco. E' un casino, lo so, ma spero di essere stato chiaro.

In pratica, i brasiliani del Sistema europeo conservano solo il lato destro della difesa (terzino e mediano), mentre stravolgono completamente gli altri tre ruoli: il centromediano sale a centrocampo al fianco del mediano destro e diventa regista arretrato; il mediano sinistro scala sulla fascia sinistra al posto del terzino e deve marcare l'ala; il terzino va a occupare il ruolo del centromediano, al centro della difesa, davanti al portiere, e ne eredita anche il compito di marcare il centravanti avversario.

Il Brasile '50 si schiera, ad esempio, proprio così. Il terzino sinistro Juvenal marca il centravanti; il terzino destro Augusto l'ala sinistra; il mediano destro Bauer la mezzala; il centromediano Danilo agisce da regista al suo fianco; il mediano sinistro Bigode marca l'ala destra (sarà lui a farsi sfuggire Ghiggia, in finale contro l'Uruguay, nell'azione decisiva).

Se nel frattempo non mi avrete già cristonato contro, spiego come dal Brasile si arriva all'Argentina e da qui come nasce la difesa a zona. Per non essere uguali agli odiati brasiliani, gli argentini fanno l'opposto: a rimanere invariato, rispetto alla disposizione difensiva del Sistema europeo, è il lato sinistro (terzino sinistro e mediano sinistro), mentre ruota quello destro. Quindi il terzino sinistro marca l'ala destra, come nel Sistema; il mediano sinistro marca la mezzala, come nel Sistema. L'ex centromediano sistemista sale a centrocampo, al fianco del mediano sinistro e diventa il regista; il mediano destro va a occupare il ruolo del terzino destro e marca l'ala sinistra come nel Metodo; l'ex terzino destro finisce al centro, al posto del centromediano sistemista, a marcare il centravanti.

Questa è la disposizione scelta dalle formazioni argentine. Ora, prima il San Lorenzo de Almagro, poi il River Plate scelgono però di portare un'ulteriore variazione. Ossia, il difensore smetterà di seguire il proprio avversario diretto, ma si occuperà della zona di competenza, quindi il giocatore da marcare può cambiare più volte nel corso della partita. Attenzione però: se un difensore viene saltato dall'attaccante, non resterà fermo, ma andrà a marcare un altro avversario smarcato. Ecco quindi spiegato quello che prima diceva Mad, ossia il movimento continuo di tutti i difensori. In pratica, una sorta di calcio totale difensivo. In realtà, la base è una marcatura a zona, con i difensori che tengono d'occhio la zona e non l'avversario.

A questo movimento della difesa, si aggiunge il movimento dell'attacco e qui arriviamo alla Maquina. Anche in questo caso, bisogna partire dal Sistema europeo, passare prima in Brasile per un primo cambiamento e poi in Argentina per un secondo cambiamento. Il Sistema europeo prevedeva due mezzali in linea e poi un attacco a tre, con le due ali larghe e il centravanti in mezzo. Bene, i brasiliani inventano la Diagonal (che in altre forme sarà la base anche del Brasile '58, del Brasile '62 e anche della Honved - Grande Ungheria): la mezzala destra resta nella sua posizione originaria, mentre la mezzala sinistra avanza, supera il centravanti e va a collocarsi come terminale ultimo dell'attacco. Ecco quindi che sul campo si forma una diagonale: mezzala destra - centravanti - mezzala sinistra. Prendiamo di nuovo come esempio il Brasile '50: Zizinho, mezzala destra; Ademir centravanti; Jair, mezzala sinistra e massimo terminale offensivo. Da qui si passa all'Argentina. E al nostro River: Moreno mezzala destra; Pedernera centravanti; Labruna mezzala sinistra avanzatissima (non a caso, Labruna diventerà con 292 reti il massimo goleador del campionato argentino alle spalle di Erico). Gli argentini però - così abili a creare un settore difensivo in continuo movimento e zonista - fanno lo stesso in avanti. I 5 componenti dell'attacco (oltre a Moreno, Pedernera e Labruna, ci sono l'ala destra Munoz e l'ala sinistra Loustau...è questa la famosa Maquina, la versione più celebre del River, nonostante i 5 abbiano giocato assieme appena 18 partite... in altre versioni compaiono altri meravigliosi giocatori come Deambrossi o un giovanissimo Di Stefano nel ruolo di centravanti, una volta che Pedernera lascia a se ne va in Colombia) hanno un talento e un'intelligenza tattica spaventosa e quindi riescono a spostarsi ovunque, occupando ogni posizione del pentagramma offensivo: Pedernera, per dire, sa giocare ala destra, centravanti, ala sinistra e mezzala, con indifferente bravura. Lo stesso Di Stefano ammetterà che questa palestra nel River, con giocatori bravi a giocare ovunque, sarà fondamentale per la sua successiva evoluzione da centravanti a calciatore totale.

In pratica, il River Plate degli Anni '40 è altamente rivoluzionario in difesa (zona e movimenti continui) e in attacco (Diagonal e anche qui movimenti continui degli interpreti) e per questo viene ricordato come una delle massime e più rivoluzionarie formazioni di ogni tempo.

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