Sì, direi che più o meno è in quel range anche per me
Allora, allora: un attaccante, un attaccante, un centrocampista/attaccante, che dite, parliamo di un difensore? Sì, perchè poi è estremamente vero che quelli che più di tutti rimangono impressi nella memoria sono quelli che la palla la buttano dentro, però hanno e hanno avuto un ruolo fondamentale anche quelli che i gol cercano di non farli prendere.
Ora, per quei pochi che hanno la voglia di leggere le due righe che scrivo, magari v'immaginerete che io stia per parlare di un roccioso difensore tedesco, di qualche vecchia volpe italiana o al limite di uno dei tanti glaciali armadi dell'est o del nord Europa (no, non parlo di quelli dell'Ikea) che saltuariamente sbucavano nelle maggiori competizioni internazionali. Ebbene no, sto per parlare di un sudamericano, e neanche di un uruguayano (la Celeste è famosa per la sua tradizione difensiva quindi un difensore di livello d'altri tempi avrei potuto prenderlo lì), ma di un brasiliano. Sì, per questa volta Brasile non sarà sinonimo di fase offensiva, dribbling al ritmo di samba e reti a profusione, in questo caso Brasile sarà la patria di uno dei più grandi centrali difensivi che il Sudamerica abbia mai visto, sicuramente il più grande fra quelli verdeoro, a detta di chi sa di cosa sta parlando.
Quando ci si cimenta nei giochini (totalmente opinabili, per carità) in cui si piazzano in campo gli ipotetici 11 migliori giocatori di una nazione, parlando del Brasile si potrà discutere se preferire Zico o Zizinho, Romario o Ronaldo, Djalma Santos o Carlos Alberto, ma al centro della difesa, se si vuol dar retta alla storia, uno che non deve mancare mai di certo è lui:
Domingos da Guia.
Questo è un nome che qui sul forum qualche volta è sbucato, almeno, io qualche volta l'ho letto qua e là, quindi magari è meno sconosciuto di un Bloomer o di un Erico, già citati, però di certo, come quasi tutti i pre-anni '50, il suo nome non è che aleggi proprio nella mente di chiunque.
Secondo gli storici, in particolar modo quelli brasiliani, Domingos da Guia è nettamente di un altro livello rispetto ai compagni di reparto verdeoro che sono comparsi fino ad ora. Dietro di lui abbiamo gente di tutto rispetto come Luis Pereira, Aldair, Bellini, Lucio o Mauro Ramos, per carità, ma, per chi l'ha visto, lui era di più, lui era "el Divino Maestro", il Divino Maestro.
Ora, per accalappiarsi un soprannome del genere un difensore qualcosa di buono avrà pur dovuto farla no? e per accalappiarselo in un paese tradizionalmente ostile al Brasile ancora di più, giusto? Ma ci arriviamo, con calma...
Domingos Antônio da Guia nasce nel 1912 e vive a lungo, molto a lungo, tanto che verrà a mancare nel 2000 ad un'età di tutto rispetto.
Lavora per qualche tempo in una fabbrica tessile di Rio, poi, calcisticamente parlando diversamente da tanti brasiliani lui gira, non resta nel suo paese, dopo i primi anni nel Bangu di Rio de Janeiro (dove giocava il fratello Ladislau, maggiore bomber della storia del club), Domingos vola in Uruguay a giocare per il Nacional di Montevideo, col quale vince il campionato uruguagio 1933 e forma una coppia da sogno con la leggenda della Celeste José Nasazzi.
A Montevideo è già una superstar, desiderata e famosa, di lui si dice che "disarma l'avversario senza violenza e riparte all'attacco con classe, venite a vedere Domingos!". Gli chiedono di naturalizzarsi uruguayano, ma lui rifiuta. Un solo anno qui, ed un solo anno poi nel Vasco da Gama, abbastanza però per vincere il campionato carioca 1934.
Da qui il trasferimento al Boca Juniors, in Argentina, due stagioni nelle quali riesce ad aggiudicarsi il campionato del '35. Ottime sono le sue prestazioni con gli Xeneises, e tornato in patria dimostra il suo valore nel Flamengo, la formazione con la quale farà rilevare più presenze, ben 230 fra il '37 e il '43, e tre campionati carioca portati a casa: '39, '42 e '43.
Sale alla ribalta mondiale nel 1938, ai Campionati del Mondo di Francia, ai quali arriva come "difensore più completo del Pianeta", protagonista del Brasile che punta a vincere il torneo e che pecca di presunzione affrontando l'Italia, in semifinale, senza il proprio fenomeno Leonidas (per altro compagno di da Guia nel Flamengo), tenuto a riposare per la finale (per la quale avevano già acquistato i biglietti dell'aereo). Alla fine sarà terzo posto per i verdeoro. Col Brasile anche due secondi e un terzo posto in Coppa America, oltre che due Coppe Rìo Branco (coppa esclusiva per la vincitrice della partita Brasile - Uruguay) e una Coppa Roca (come la precedente, ma qui la partita è con l'Argentina).
Dopo il Flamengo il Corinthians fino al '47, e quindi il ritorno al Bangu per gli ultimi scampoli di carriera. Il rapporto col Bangu è stretto, tanto che il nome di Domingos sarà citato anche nell'inno del club, e che suo figlio, Ademir da Guia, anch'egli importante calciatore della Nazionale verdeoro e del Palmeiras, ha iniziò a giocare proprio nel club di Rio de Janeiro.
La figura di Domingos da Guia fu importante anche per l'integrazione dei giocatori neri nel campionato e nella Nazionale brasiliana, già da tempo erano presenti giocatori neri nelle varie formazioni del paese, ma la comparsa di un personaggio così importante e forte, favorì l'accettazione da parte della gente per quelli che, invece, venivano normalmente maltrattati per il colore della propra pelle. Ricordo che in Brasile, nelle prime rose della Seleçao, non erano "permessi" giocatori non bianchi, tanto che un fenomeno come Friedenreich (che comunque aveva una carnagione già più chiara rispetto a Domingos) si doveva truccare per poter giocare.
Tecnicamente il ruolo di da Guia non si limitava al fermare l'offensiva dell'altra squadra, era noto per i suoi dribbling sugli avversari, specie gli attaccanti, per la sua buona tecnica e il controllo di palla, nonostante fosse un difensore ed anche un discreto armadio per il tempo (185 cm x 79 Kg). E' ricordato come "difensore di classe", mai violento, ma dotato di talento, tempismo e abilità. Da qui il "Divino Maestro", anche se altri soprannomi furono "la Statua d'Ebano", "la Muraglia" e "la Fortezza".
E' stato innovativo nel suo ruolo, fino a quel tempo solitamente, e salvo eccezioni, il difensore che recuperava palla la sparacchiava il più lontano possibile, sperando di farla finire addosso ad un compagno, meglio se il più lontano dalla propria porta, Domingos invece la palla la teneva con sé, non gli "bruciava" tra i piedi, e nonostante questo era anche un buon marcatore, ruvido quanto e quando serviva. Da lui il termine "domingada" che sta ad indicare l'uscita lenta, palla al piede, di un difensore che si prende il proprio tempo per giocare il pallone e far salire la squadra. A tal proposito c'è da dire che non era proprio un fulmine in velocità, anzi.
Obdulio Varela, capitano dell'Uruguay Campione del Mondo nel 1950, dice di da Guia ad un giornalista brasiliano: "il migliore che voi abbiate mai avuto è stato Domingos, completo, campione là (in Brasile), qui (in Uruguay) e in Argentina". Ed, in effetti, ha vinto praticamente ovunque sia stato.