O Futeboleiro ha scritto:
L'eccellente rivista francese "Onze" n° 88 dell'aprile 1983 propone un'intervista-confessione in cui Michel Platini rievoca le difficoltà avute nei suoi primi mesi nel campionato italiano:
«Qui in Italia in genere ai giornalisti non piace parlare molto di questioni tecniche o tattiche. Si focalizzano di più sui giocatori, sugli uomini. Paolo Rossi non segna più? Ecco allora che nasce il "mistero Paolo Rossi". Zibì Boniek non ha il rendimento sperato? Ecco allora che lo si critica a prescindere, senza cercare di capire che viene da un ambiente e da un campionato completamente diversi. La Gazzetta dello Sport ha cercato di creare una polemica tra me e il Mister Trapattoni riguardo a come deve giocare la Juve, ma fortunatamente il Mister conosce meglio di me gli usi e i costumi della stampa, perciò non ci ha dato troppo peso. Hanno anche cercato di mettermi contro Paolo Rossi, ma fortunatamente i miei compagni sapevano che la realtà era ben diversa da quella riportata dalla stampa. Devo invece dire che Torino mi ha sedotto. La gente va pazza per il calcio e mi ha accolto benissimo.
Le difficoltà che ho avuto all'inizio avevano invece altre cause. Innanzitutto la pubalgia, che ha iniziato a tormentarmi durante il Mondiale di Spagna. Dopo le partite non riuscivo più nemmeno a camminare! Quando è iniziata la stagione in Italia, il mio problema non accennava a migliorare, anzi, devo dire che fino alla tregua natalizia ho giocato al 40% delle mie capacità. Allora ho approfittato delle feste per recarmi da un chiropratico in Germania. Mi ha rimesso a posto il bacino, così come due vertebre, che erano scomposte dopo lo stage a Font-Romeu. Inoltre ho intrapreso un trattamento omeopatico al fine di ridurre al minimo l'infiammazione ai tendini. Oggi non sono ancora completamente guarito, ma sto nettamente meglio. L'altra ragione del mio difficile debutto in Serie A è il fatto che Trapattoni non mi utilizzava nel ruolo che preferivo. La Juventus si affida molto al contropiede, questa è la regola in Italia, dove solo la Roma manifesta più velleità di costruire gioco. Il Trap mi voleva vicino agli attaccanti. Ciò per me significava essere avulso dal gioco, io infatti preferivo essere l'organizzatore della manovra, in fondo quello per cui mi sentivo più adatto. Ho dovuto perciò aspettare fino a gennaio, quando, con l'aiuto prezioso anche del mio compagno Marco Tardelli, il nostro allenatore ha deciso finalmente di cambiarmi ruolo e di darmi finalmente la responsabilità di organizzare il gioco della squadra. Credo che a partire da quel momento là, la mia stagione ha avuto la svolta. Il nostro gioco di conseguenza è diventato più audace e abbiamo iniziato a recuperare nei confronti della Roma. E qui devo fare un appunto al calcio italiano. In Italia ci sono tanti bravi giocatori, fisicamente e tecnicamente, ma sono tutti inseriti in un ingranaggio tattico che impedisce loro di esprimere le proprie capacità. C'è poco spazio per l'estro: sono sempre troppo legati alle consegne tattiche dell'allenatore, sono sempre troppo attenti alla fase difensiva. Questo è un grosso peccato: la paura di perdere e di conseguenza la rinuncia all'iniziativa personale e alla liberazione del talento, secondo me nuoce molto, troppo, allo spettacolo».
