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 Oggetto del messaggio: Auguri JIMBO
MessaggioInviato: gio 2 set 2010, 14:44 
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Il Blockbuster
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Oggi 2 settembre non è "solo" il compleanno mio e di Pato ma anche quello di un grandissimo campione che risponde al nome di Jimmy Connors.
Per questa ricorrenza ho voluto rendere omaggio al giocatore che mi ha fatto amare (da spettatore :grin) questo sport.

Per questioni di età non ho potuto a suo tempo ammirarne le gesta ma è bastata qualche videocassetta o qualche filmato d'epoca per venire ammaliato da questo fenomeno...più che per le vittorie (tante,che lo fanno rientrare nella ristretta cerchia dei più forti di sempre) sono stato colpito dal suo carattere,dalla voglia matta di vincere,di essere protagonosta e di competere contro tutto e tutti sempre presente in tutta la sua carriera e anzi accentuata una volta superati i 30 anni...peculiarità che ritrovo ora in Nadal anche se manifestate in diversa maniera.

Il grande Rino Tommasi disse di lui :"Connors è stato il più grande pugile mai apparso su un campo di tennis"...direi che questa definizione gli calza a pennello.

Titoli,records e slam a parte la punta dell'iceberg è ovviamente il quarto turno agli USOpen contro Krikstein (partita epica) e la trovata geniale contro Chang a Parigi sempre nel 1991...solo Connors avrebbe potuto inventarsi maniera migliore per ritirarsi in quella partita:sfinito ma avanti nel punteggio per un solo misero punto.

E' stato un giocatore antipatico Connors,e spesso anche antisportivo con pubblico e avversari (Barazzutti ne sa qualcosa :asd) ma nonostante questo è riuscito a farsi amare.

Auguri Jimmy Connors...il tennista più odiato e più amato nello stesso tempo.


Ho trovato in rete questo bell'articolo di tale Picasso Petzschner che descrive alcuni dei momenti epici della carriera di Jimbo...dalla grande rimonta al primo turno di wimbleon su Pernfors,alla genialata contro Chang passando per l'epica sfida con Krikstein.

http://www.youtube.com/watch?v=Myg66OWBuNI

IL GLADIATORE
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Nasce il 2 settembre 1952 Jimmy Connors, simbolo di oltre un ventennio del tennis mondiale. Tra record di longevità e di trofei vinti, cadute e ritorni inattesi. Sempre protagonista fino a quarantanni

Picasso Petzschner

Roma – Si provava a tirar palline in quel giugno di fine anni ottanta, sognando McEnroe. Ma alla tv davano il match di un uomo vicino alla quarantina, col caschetto giovanilmente pennellato, il passo trascinato e il viso gonfio. Il ritratto della sconfitta quel pomeriggio a Wimbledon, “Jimbo” Connors. Subiva come un qualsiasi gregario bolso i colpi di Mikael Pernfors, svedese atipico nei tratti somatici e nel gioco incline alla smorzata scientifica. Rantolava il vecchio guascone, con gli occhietti spenti. 1-6 1-6 1-4 0-40. E nella mia ingenuità, mi domandavo cosa potesse spingere un tennista che aveva vinto tutto, sfornato record, guadagnato miliardi, a quell’estremo atto di sacrificio umiliante. Costringersi al martirio, o ad un plauso di commiserazione del pubblico. Ed eccolo arrancare e grugnire di sofferenza. Due set e due break sotto, su quella velocissima erba di Wimbledon in cui spesso bastava subire un solo break per perdere. Serve da sinistra lo svedese dalla spinosa chioma corvina. Jimbo si appoggia al col rovescio bimane, si fionda a rete, e chiude il punto con un tuffo disperato. Jimbo ritorna a fondo campo e inizia a sgranare gli occhi piccoli. Flette in modo lento le braccia come stesse lavorando al bilanciere o sgranchiendole con lentezza schizoide. Una pazzia lenta, come una specie di trance compulsiva. Inutile, fuori luogo, penso. Ma poi intuisco che da lì inizierà qualcosa di grandioso. Biascica anche qualcosa tra sé e sé, il vecchio Yankee. Sembra si dica “Bene vecchio, adesso ci proviamo.”. Ed ecco un bel gancio di dritto, seguito da un rovescio incrociato a chiudere. Si riprende uno dei due break. Ora inizia ad agitare entrambi i pugni in avanti come in un delirio furioso, col volto trasfigurato. La zazzera tinta si scompone, gli occhi ora sono biglie magnetiche, pupille di squalo che avvista il sangue. Quel vecchio malfermo ora è una furia cieca. L’infinito campione porta a casa il terzo set, e poi vince al quinto. Ed alla fine zompa per il campo come un grillo. Una vittoria di primo turno che nulla aveva aggiunto al suo invidiabile palmares. Se non placato l’inestinguibile sete di competizione, perché Jimbo si alimentava con la lotta. E lì compresi cosa significa il tennis. La genialità ultraterrena di Supermac, e l’agonismo del guerriero “Jimbo”. E poi è pronta la stanzetta di uno strizzacervelli.

Da Laver ad Agassi, passando per Borg. Jimmy Connors diviene professionista nel 1970 e gioca l’ultima partita ufficiale nel 1996. Ventisette anni a rincorrere palline e cercare la vittoria, quattro generazioni tennistiche, racchette mutate, da immagini in bianco e nero al colore sgargiante. Dagli allenamenti nella città natale di St. Louis all’accademia di Pancho Segura a Beverly Hills, da Laver ad Agassi, sempre con l’inguaribile morbo della competizione. Quel giovane mancino col caschetto alla Beatles e i basettoni si impone all’attenzione mondiale nel 1974. E in quella stagione trionfa in tre grandi slam su quattro. Il quarto, il Roland Garros non lo gioca per beghe burocratiche e ripicche tra federazioni. Probabilmente avrebbe completato il grande poker, lui. In particolare, abbatte il vecchio Rosewall a Wimbledon e Forrest Hills lasciandogli le briciole, nell’incontro simbolo di un trapasso generazionale. Diviene numero uno al mondo, dando inizio ad un periodo di dominio che durerà quasi sei anni, con l’interruzione di una sola settimana. Con il record assoluto che alla fine reciterà 109 trofei vinti. Sembra però incapace di bissare il successo sui prati inglesi, complice l’avvento dell’orso Borg. Ma con lo svedese si prende la rivincita in casa propria, nel ‘76 a Forrest Hills e nel ‘78 sul cemento di Flushing Meadows dove si era trasferito lo slam americano, diventando l’unico a vincere gli Us Open su tre superfici diverse. Quel ragazzo scorbutico nei modi, si guadagna ben presto il soprannome di “antipatico”, che affiancherà il tradizionale “Jimbo”. Brusco, intrattabile, spesso scorretto e burrascoso nei rapporti con arbitro e guardalinee. Non aveva un repertorio tecnico eccezionale Jimmy, in particolare non riusciva a pungere col servizio e di dritto spesso risultava poco incisivo. Ma sopperiva alle lacune tecniche e di un fisico normotipo, con una grinta da combattente indomabile ed un rovescio bimane di splendida fattura e mortifera efficacia. Colpito in modo piatto ed anticipato diveniva letale come un cazzotto alla bocca dello stomaco, soprattutto in risposta. Colpi piatti i suoi, ideali per le superfici rapide. Partiva in forcing continuo dal fondo campo con rasoiate profonde ad un ritmo asfissiante, guadagnando metri per poi chiudere di volo. Il primo prototipo di attaccante dal fondo, prodigioso nell’aggrapparsi ai colpi dell’avversario, sfruttandone la velocità.
Una nuova generazione di avversari, ed il primo declino. Reduce dalla storia d’amore da copertina con Chris Evert, ad inizio anni ‘80 Jimmy sembra aver perso la voglia di combattere sul campo. Al già citato Borg, si affiancano l’irascibile e scapigliato geniaccio McEnroe ed il solido ceco Ivan Lendl. Dopo un periodo di appannamento, “Jimbo” ritorna però in auge. Sposa la bellissima Patty, ex coniglietta di playboy, da cui avrà due figli. Ritrova la voglia di lottare come in un’arena. Quando nessuno se l’aspetta più si riprende lo scettro di Wimbledon, dopo otto anni dal primo successo, in una accesissima finale con John McEnroe. Il supermoccioso di Detroit se la legò al dito, e due anni dopo gli lasciò la miseria di quattro games. Ma Connors malgrado abbia superato i trent’anni è tornato il combattente di sempre. Si aggiudica altri due Us Open nell’82 ed nell’83, sempre battendo Lendl. Alla fine saranno cinque i successi in patria ed otto finali.

La seconda carriera, il giovane antipatico diviene adorabile vecchiaccio irriducibile. La finale giocata a Wimbledon nel 1984, a 32 anni e persa in termini così pesanti, sembra la fine anche della seconda carriera di Connors. Otto vittorie di slam (5 Us Open, 2 Wimbledon e 1 Australian Open) e quindici finali. Solo a Parigi non andò oltre la semifinale raggiunta quattro volte. Molti avrebbero preso in considerazione l’idea del ritiro. Molti, non il gladiatore dei campi, che continua a dare battaglia contro ogni limite, anche quelli del fisico che di solito non fa sconti. Il dato che più impressiona dell’inossidabile “fighter” americano è la costanza ad altissimi livelli. A 37 anni è ancora capace di sostare nella top ten e di vincere due tornei Atp (Tolosa e Tel Aviv) o di arrivare in semifinale negli slam. Sedici delle ventisette stagioni di carriera trascorse nella top ten. Addirittura dieci tra i primi cinque. Continua a dare battaglia ed eccitare le platee. Come un vecchio mascalzone che non si vuole arrendere all’evidenza. Alla soglia dei quarant’anni viene perdonato tutto. Un’imprecazione, una furbata o un volgare dileggio all’arbitro, un tempo oscenità gratuite, diventano bravate che destano persino un sorriso divertito. Il pubblico è con lui, immedesimandosi nell’attempato eroe che non si arrende alla crudele usura degli anni. Jimbo è l’attrazione in più. Sempre con quel carisma debordante, il caschetto rossiccio, ganci da pugilatore e i pugni agitati come mattatore assoluto nella sua arena.

Delirio a New York. Tra le perle, i trofei e i tanti successi del tennista americano, spicca anche il torneo giocato a Flushing Meadows nel 1991. E’ ancora li che si dibatte a 39 anni a farsi “un gomito (va beh, s’è capito il francesismo usato) così”, come vomita in faccia all’arbitro reo di avergli chiamato fuori una palla. Il torneo si riveste subito di un’alone leggendario. Il vecchio guerriero non si smentisce. Recupera due set e due break di vantaggio a Patrick McEnroe, fratello minore di John. Poi arriva agli ottavi, dove incrocia Aaron krickstein. Ne vien fuori una lotta furibonda. Il centrale di Flushing Meadows è un catino ribollente. Autentico delirio e caos di stampo stelle e strisce. Jimbo suona la carica, si annoda un fazzoletto sul collo come un cowboy stanco. Ha il torcicollo, la schiena a pezzi, ma sempre un gran coraggio. Agita i pugni, chiude punti impossibili, salta come un ragazzino ed aizza il pubblico con gesta da istrione consumato. Krickstein è il tennista con la migliore percentuale di vittorie al quinto set, ma l’attempato Connors trova il guizzo fanciullesco per vincere al tiebreak del quinto. E non si ferma, raggiungendo una incredibile semifinale, mentre spegne 39 candeline e il pubblico gli canta “happy birtday”.

L’ultimo tango a Parigi. Paradossalmente proprio Parigi, terra dell’unico major sfuggito al sontuoso palmares del mancino di St. Louis, diviene lo scenario di epiche battaglie, che sfiorano l’eroismo struggente. E quale luogo migliore di Parigi. Non riuscirà mai a vincere lì, ma si guadagna l’amore viscerale dei francesi combattendo come un vecchio leone ferito, ma orgoglioso. E’ reduce da due belle partite vinte con la solita grinta, quando si trova di fronte Michael Chang, cinoamericano vent’anni più giovane e già campione da quelle parti. Jimbo sembra morto, a tratti fatica anche a rialzarsi dalla sedia dopo il cambio campo. Ma Dio solo sa dove, trova le ultime energie per portarsi al quinto set. E un tripudio elettrico. Scene da cinemascope. Un applauso interminabile che dura due, tre minuti, forse quattro. Il cinesino gnomo ha lo sguardo marmoreo, proprio non gli sembra reale. Il vecchio mascalzone praticamente è fermo, non si muove più. Guarda attorno tutta quella gente che urla e scandisce il suo soprannome. Devono sembrargli matti, più di lui.
Ma è lì che il quarantenne campione deve aver avuto il colpo di genio, con tempistica da attore scafato. Chang gioca il primo punto del secondo set, Jimbo si aggrappa alla proverbiale risposta di rovescio bimane e tira un gran vincente. Altre ovazioni, ancor più vibranti. Lui si avvicina con lentezza surreale alla seggiola di Bruno Rebeu, e gli dice: “Non posso più continuare”. E saluta tutti. Ne ha combinata un’altra delle sue, ancor più diabolica. Una uscita di scena degna di Jimbo. Ritirato, ma in vantaggio di un punto. Altra standing ovation a salutarlo mentre viene sorretto a braccia dal fisioterapista come un reduce di guerra.
Ma l’americano non resiste alla tentazione di riprovarci, congedandosi dal pubblico francese dopo altri cinque set deliranti contro il numero tre al mondo, Michael Stich. Poi c’è solo lo spazio per qualche piccolo grande record. Un guizzo lo porta fino ai quarti di finale ad Halle. Ed è tempo per il post agonismo. Il senior tour, dove è già più attempato di gente che vi gioca da dieci anni. Prima dell’avventura come allenatore di Roddick, lontana anni luce dalla sua sfolgorante carriera agonistica da mattatore assoluto.

http://tennis.it/connors-compleanno-tennis-legend/

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Ultima modifica di alex683 il gio 2 set 2010, 15:40, modificato 2 volte in totale.

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auguri a te mito, mica a lui :asd

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Auguri! Anch'io non ho potuto ammirarne completamente le gesta per motivi anagrafici, ma la mitica sfida con Krikstein me la ricordo benissimo! :grazie

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