Karl Malden ci lascia a 97 anni
di Alessandro De Simone
È stato uno degli interpreti preferiti di Kazan. Da lui hanno imparato tre generazioni di attori americani, da Marlon Brando a Michael Douglas
Un altro pezzo dell’epoca d’oro di Hollywood se ne va e questa volta si tratta davvero di un pezzo da novantasette, come gli anni che gravavano sulle spalle di Karl Malden, vera e propria leggenda del cinema a stelle e strisce e attore che mai abbastanza è stato o verrà lodato per il suo impareggiabile talento e per la grande importanza che ha avuto per la sua categoria nel corso degli anni.
Nato il 22 marzo del 1912 a Chicago, Malden è cresciuto a Gary, Indiana, ironia della sorte stessa cittadina che ha dato i natali a Michael Jackson, morto meno di una settimana prima di lui, e inizia la sua carriera calcando le tavole del palcoscenico, dopo una giovinezza passata in acciaieria e poi a combattere con le devastanti conseguenze della Grande Depressione. Il suo debutto a Broadway è datato 1937 e fu immediatamente notato da Elia Kazan, già rinomato regista teatrale che lo volle subito in compagnia, inaugurando una collaborazione professionale e un’amicizia che sarebbe durata alcuni decenni. Malden si fa subito notare come uno dei migliori talenti della sua generazione, istintivo ma allo stesso tempo misurato e il passo successivo e naturale era ovviamente il cinema, che non tarda ad arrivare. Siamo nel 1940, gli Stati Uniti ancora non sono entrati in guerra e Karl riesce a girare almeno un film, Non desiderare la donna d’altri, una commedia sofisticata diretta da Garson Kanin e interpretata da Carole Lombard. Subito dopo parte per il fronte dal quale torna con i gradi di Capitano, ricominciando la carriera da dove l’aveva lasciata grazie a Henry Hathaway che nel 1947 gli offre la prima di tante indimenticabili parti da caratterista che hanno fatto grande quest’attore. Il film è Il bacio della morte, ma la consacrazione arriverà nel 1951, quando riunitosi con l’amico Kazan vince un Oscar per il ruolo di Harold Mitchell in Un tram chiamato desiderio, tratto dal dramma di Tennessee Williams e dove divide la scena con un cast memorabile: Vivien Leigh, Kim Hunter, entrambe premiate con la statuetta, e un giovane di belle speranze di nome Marlon Brando. La collaborazione tra Malden, Kazan e Brando si ripete tre anni dopo con lo straordinario Fronte del porto, film che portò il primo Academy Award al grande Marlon, ma nel frattempo Malden aveva avuto l’opportunità di collaborare con registi del calibro di Richard Brooks, King Vidor e Alfred Hitchcock (in Io confesso), dimostrando di essere uno degli attori più completi nel panorama americano e ottima spalla e mentore per giovani star in erba, da Montgomery Clift a Charlton Heston e successivamente Anthony Perkins, di cui fu padre nel bellissimo Prigioniero della paura di Robert Mulligan. Dopo un terzo film con Kazan, Baby Doll, Brando lo vuole nel 1961 per il suo esordio alla regia, il sottovalutato I due volti della vendetta, un salto quello dietro la macchina da presa che Malden aveva già fatto nel 1957 con l’ottimo Il fronte del silenzio, un dramma militare a tinte forti con Richard Widmark.
Gli anni Sessanta lo vedono come un caratterista di lusso consacrato, scelto da John Ford, Norman Jewison, Delmer Daves, Frankiln Schaffner, Ken Russell in ruoli di supporto alla star di turno e anche in questo decennio, l’ultimo passato intensamente sul grande schermo, Malden aiuta un paio di giovanotti di cui poi si sentirà parlare, Warren Beatty e soprattutto Steve McQueen, con cui divide la posta in quello che ancora oggi è il migliore film sul poker mai girato, lo straordinario Cincinnati Kid. Dopo Patton, Generale d’acciao, Malden, già quasi sessantenne, fa un salto in Italia, dove un giovanissimo Dario Argento lo sceglie per il ruolo chiave di Franco Arno ne Il gatto a nove code. Subito dopo si dedica alla televisione, portando la serie poliziesca Sulle strade di San Francisco in cima agli indici d’ascolto per cinque anni, dal 1972 al 1977, e ancora una volta fa da chioggia, questa volta a un figlio d’arte, Michael Douglas, suo partner nel telefilm.
Negli ultimi trent'anni lo ricordiamo in pochi ruoli, ma il suo impegno non è mai venuto meno nei confronti dell’arte cinematografica. È stato infatti presidente dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences tra il 1988 e il 1993 e fu proprio lui, nel 1999, a volere fortemente l’assegnazione dell’Oscar alla carriera all’amico di sempre Elia Kazan, macchiatosi durante gli anni del Maccartismo di avere denunciato dei colleghi alla commissione per le attività antiamericane, accusandoli di essere membri o simpatizzanti del partito comunista americano. Malden ha sempre sostenuto che le qualità artistiche dovevano essere slegate dalla statura morale dell’uomo, riuscendo a vincere una battaglia che sembrava persa e che verrà ricordata come una delle pagine più controverse della storia degli Oscar.
Oggi, 1° luglio 2009, Karl Malden se ne va e ci lascia un bellissimo ricordo di sè, quello di un attore dal grande talento sempre espresso ai massimi livelli, e che ha dedicato la sua vita professionale all’essere “quello vicino alla star”.
Una cosa che molte star non sarebbero in grado di fare.
Il ricordo di Dario Argento: Malden? Un grande attore, ma aveva paura del buio
ROMA (1 luglio) - Un attore «di grande grazia ed eleganza», un «maestro dell'Actor's Studio» ma anche un uomo che «aveva paura del buio»: è Karl Malden nel ricordo di Dario Argento che lo diresse nel suo secondo film, il primo di grande successo, Il gatto a nove code.
«Quando scrissi il film - ricorda Argento - andai con mio padre negli Stati Uniti per cercare un paio di attori che potessero dare al mio film uno spessore internazionale. Un direttore del cast americano ci presentò Malden che per me era un autentico mito, essendo non solo un attore dell'Actor's Studio ma anche il maestro di Marlon Brando in quella scuola. Io ero un giovanissimo regista, assolutamente sconosciuto, ma lui, dopo aver letto la sceneggiatura, mi disse: "Mi sembra interessante, ho voglia di venire in Italia". Per me - sottolinea Argento - si trattava praticamente di un miracolo».
Il maestro del giallo italiano ricorda Malden come un «perfezionista dotato di una classe immensa». Ma il ricordo più divertente è legato ad uno scherzo che la troupe del film gli fece nel cimitero di Torino dove stavano girando una scena chiave del Gatto a nove code. «Ad un certo punto - racconta Argento - c'era una scena in cui una macchina si allontanava: noi ci mettemmo d'accordo e improvvisamente spegnemmo tutte le luci e ci allontanammo tutti. Si ritrovò da solo nel cimitero al buio e si infuriò moltissimo. Disse: "Siete matti, mi avete messo paura". Lo ricordo come un grande - conclude Argento - e mi dispiace molto».
il messaggero
_________________ IO ODIO CARBONERA
"SIAMOAPOSTOCOSI"
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