Capitolo IX: Brasile-Francia show e la Mano De Dios
Splendida la battaglia tra Francia e Brasile nei quarti, che costa agli uomini di Tele Santana una
ingiusta eliminazione e a quelli di Henri Michel un prezzo atletico esorbitante. Santana ha portato
gradatamente i suoi a una inquadratura ottimale, con l'imprevedibile Muller a fare da partner a Careca, in un
modulo che bilancia la vocazione offensiva con una copertura di stampo europeo. Davanti a Carlos, portiere
affidabile, Edinho è libero classico, con davanti il monumentale stopper Julio Cesar; sulle fasce, i terzini
incursori Josimar, splendida gazzella, e Branco, dal tiro proibito; il centrocampo è pilotato da Elzo, una
sorta di secondo libero davanti alla difesa, coadiuvato dall'incontrista Alemão e dal regista Junior. In avanti
Socrates funge da centravanti arretrato, rifinitore per le due punte, Muller a destra e Careca a sinistra,
larghe in partenza per poi accentrarsi verso la porta.
La Francia risponde con una inquadratura di tutto rispetto. La parte del leone, davanti a un discreto reparto
difensivo, con Bats in porta, Battiston libero, Bossis stopper con licenza di avanzare e i due esterni
Amoros (formidabile) e Tusseau, la fa il centrocampo. Fernandez è un infaticabile tamponatore in ogni
zona del campo, Giresse e Tigana si dividono i compiti di regia a sostegno di Platini, regale faro sulla
trequarti, dietro ai due attaccanti, gli esterni Rocheteau e Stopyra.
Il Brasile domina, va in vantaggio con un gol di Careca, colpisce un palo con Muller, ma patisce il
pareggio di re Michel, sensazionale nell'intuire lo sviluppo di una ficcante azione. La sfida è stellare, il calcio
spumeggiante dei francesi tiene testa a quello, superbo, dei maestri brasiliani.
Che a venti minuti dalla fine accolgono, tra le ovazioni del pubblico, l'ingresso in campo di Zico. Dopo una
traversa colpita da Careca, è lui, il "Galinho", a tagliare in area per Branco, che viene steso da Bats; l'arbitro
fischia il penalty e i brasiliani anticipano esultanze e abbracci, ma il tiro lento dello stesso Zico viene
neutralizzato da Bats sulla propria sinistra.
Si va ai rigori, per la Francia è il bis di Spagna '82. Il caldo e la fatica giocano brutti scherzi, trasformando la
lotteria in un miniromanzo a puntate, in cui i "divini" Socrates e Platini falliscono la trasformazione (mentre
Zico si riscatta) e l'arbitro Igna calpesta il regolamento, convalidando il tiro di Bellone finito sul palo, contro
il portiere e infine oltre la linea; i brasiliani sconfitti preannunciano un reclamo che resterà nel cassetto. Hanno
pagato tutto in una volta il conto ai fischietti e alla buona sorte: escono di scena senza aver mai perso, se non
discutibilmente dagli undici metri, e avendo subito un solo gol. I francesi si apprestano a pagare il dazio
dell'immane sforzo sostenuto.
Nella fornace di Monterrey il Messico onora i favori ricevuti dagli arbitri con una prova dignitosa; che
mette i muscolari di Beckenbauer alle corde. La forza dei tedeschi, tuttavia, resta proverbiale. La
squadra è robusta in difesa, dove l'ottimo portiere Schumacher è protetto da Jakobs e Eder e dal vecchio
leone Karl-Heinz Forster, mentre sulle corsie laterali i vigorosi Berthold e Briegel presidiano e ripartono
con discreta efficacia; il centrocampo marcia con la vigoria esplosiva del giovane Matthäus, l'abnegazione di
Brehme e la regia del logoro Magath; l'attacco vive degli ultimi slanci di Rummenigge, corroso da mille
acciacchi, e dell'irruenza di Allofs. Resta in panchina la fantasia del folletto Littbarski, a vantaggio della
solidità difensiva del complesso.
Il calcio frizzante ma poco incisivo del Messico resiste a lungo, superando indenne anche i supplementari.
Alla fine, espulsi Berthold e Aguirre, è di nuovo bagarre dal dischetto del rigore. Qui entrano in scena
Schumacher e la freddezza teutonica. Allofs, Brehme, Matthäus e Littbarski non sbagliano un colpo,
mentre dall'altra parte dopo Negrete è il vuoto, il portiere tedesco neutralizza sia Quirarte che Servin.
Nonostante lo scarno gioco esibito, la Germania è in semifinale.
A Città del Messico tra inglesi e argentini, va in onda il Maradona show. La partita è un piccolo
compendio del Mundial. In un clima gravato da ombre extrasportive (la guerra delle Falkland è una cicatrice
ancora fresca), gli inglesi lasciano negli spogliatoi la propria aggressività, concedendo l'iniziativa agli
avversari. La mediocre Argentina si illumina ogni volta che il pallone entra nel raggio d'azione di
Maradona, folletto inafferrabile di stratosferica rapidità. Quando si muove, qualcosa accade.
E l'incredibile accade in avvio di ripresa, quando su uno spiovente di Valdano deviato da un avversario,
Diego si ritrova proiettato a tu per tu con Shilton, portiere inglese, e per superarlo assesta un vigoroso
pugno al pallone, indirizzandolo nel sacco. Vibrate le proteste degli inglesi, quando si accorgono, con
sgomento pari all'indignazione, che l'arbitro tunisino Bennaceur sta indicando il centro del campo.
Maradona tenterà di scherzarci sopra, con modici risultati («È stata la mano... di Dio»), molto più
efficace è quattro minuti dopo: gli capita a tiro un pallone sulla propria trequarti e, come attraversato da
una scossa elettrica, scarta uno, due, tre avversari, entra in area, ne dribbla un altro paio, portiere
compreso, e termina col pallone nel sacco, tra il tripudio della folla.
Ecco il significato più vero del Mundial 1986: i concetti di "collettivo" e "calcio totale" cadono quando sulla
scena irrompe il Genio, quel misto di qualità sublimi e frenetica velocità che risponde al nome di Diego
Maradona. Tardivo è il risveglio inglese, serve solo a proiettare Lineker, lanciato da un cross di Barnes, sul
trono dei cannonieri e magari a fertilizzare qualche rimpianto. Anche perché, dopo un palo colpito da Tapia
(liberato da una magia di Diego), è il tempismo di testa di Borghi a sventare sulla linea un tiro di Barnes.
A Puebla si trovano di fronte Belgio e Spagna. Sensazionale è la vicenda degli uomini di Guy Thys, partiti in
sordina, ripescati tra le migliori terze e poi fattisi ulteriormente largo sgomitando un calcio tutto praticità,
sfruttamento degli errori altrui e tenuta atletica mirabile. Altro che altura: i belgi hanno fatto fuori i "mostri"
sovietici di Lobanovski dopo una maratona fino ai supplementari, eppure tengono testa bravamente alla
Spagna di Butragueno (imprigionato nelle spire di una difesa superba) per altri centoventi minuti. Vanno in
vantaggio in contropiede, su azione Vercauteren-Ceulemans, e subiscono il pari su tiro da lontano di
Senor nel finale, dopo una lunga, serrata resistenza. Alla fine, dal dischetto, Claesen, Scifo, Broos,
Vervoort e Vanderelst non sbagliano un colpo, mentre dall'altra parte Eloy si fa parare dal "mostro" Pfaff,
consegnandogli il passaggio del turno.
http://www.storiedicalcio.altervista.or ... _1986.html